Mercoledì scorso il Giappone è stato tra i primi paesi ad assistere allo spoglio elettorale americano. La notizia della vittoria di Trump è arrivata nel primo pomeriggio. E ha scatenato ai piani alti del governo una reazione immediata.
Ogni giorno i maggiori quotidiani giapponesi pubblicano una rubrica intitolata «la giornata del primo ministro» (shushō no ichinichi), in cui ora per ora, minuto per minuto viene riportata l’attività del primo ministro. L’orario di ingresso in ufficio (intorno alle 7.40 del mattino), gli appuntamenti istituzionali, i meeting di partito, i pranzi di lavoro, il parrucchiere, le cene con gli amici. Non si scende nei particolari, ma tutto è, in nome della trasparenza delle istituzioni, messo nero su bianco.
Lo shushō no ichinichi di mercoledì 9 novembre racconta che intorno alle 14 ora di Tokyo Abe ha incontrato il direttore dell’intelligence, il vice capo di stato maggiore e altri funzionari di rango del ministero degli Esteri e della difesa. Nel frattempo arrivavano i primi risultati: Donald Trump è avanti. Poi, a seguire, Abe incontra il ministro dell’economia, del commercio e dell’industria e il presidente dell’America-Japan Society insieme a Takeo Mori, direttore del dipartimento per il Nord America del Ministero degli Esteri. Intanto, sul sito del governo compare il messaggio di congratulazioni di Abe al vincitore e, via Associated Press, arrivava la notizia dell’incarico a un altro consigliere diplomatico del governo di Tokyo di incontrare entro la prossima settimana gli uomini del futuro presidente Usa. A fine giornata, prima di un giro di interviste con i media, Abe e Mori si incontrano di nuovo.
Gli Stati Uniti sono il principale alleato del Giappone nel mondo. L’elezione di Trump, se il nuovo presidente manterrà anche solo parte delle sue promesse elettorali — crescente disimpegno militare in Asia finché i partner non pagheranno la loro «fair share», probabile ritiro del personale dalle basi Usa in Giappone e, sul lato commerciale, fine della Trans-Pacific Partnership (Tpp) — potrebbe cambiare totalmente gli assetti dell’alleanza tra Tokyo e Washington.
Giovedì 10, nella prima mattinata, Abe ha avuto una conversazione telefonica con Trump. Durante la telefonata, i due hanno trovato l’accordo per incontrarsi a New York il prossimo 17 novembre, quando Abe sarà in viaggio per un summit in Perù. Il premier giapponese potrebbe essere il primo leader straniero a incontrare il futuro inquilino della Casa bianca. Tokyo ha fretta di conoscere il nuovo presidente e soprattutto la sua agenda.
Il governo giapponese era pronto all’eventualità che Hillary Clinton fosse sconfitta. Ma Trump, che in Giappone ricordano per una visita del 1990, in cui definì «pazzi» i prezzi immobiliari di Tokyo, il presidente eletto rimane un’incognita. E il fattore d’incertezza è la sua inesperienza diplomatica — cosa che, dal punto di vista giapponese, lo rende un soggetto meno «desiderabile» rispetto all’ex segretario di Stato Hillary Clinton.
Un primo contatto, seppure indiretto, tra le due parti c’è comunque già stato lo scorso ottobre, in occasione di una visita a Tokyo del generale Michael Flynn, consulente di Trump per la politica estera. Nel paese arcipelago Flynn ha incontrato alcuni funzionari del governo di Tokyo per discutere di cybersecurity e gettare le basi della cooperazione con una possibile futura amministrazione repubblicana. Il generale ha rassicurato i suoi interlocutori sul fatto che Trump ha «molti amici in Giappone» e «una splendida relazione con il popolo e il governo giapponesi».
La questione sicurezza — su cui Abe dallo scorso ha fatto passi in avanti approvando emendamenti al patto di sicurezza con gli Usa che garantiscono maggiori libertà di azione per le Forze di autodifesa nipponiche — è certamente un nodo fondamentale dell’alleanza nippo-americana. Il disimpegno degli Usa dall’Asia-Pacifico, combinata a una crescente percezione di insicurezza per le manovre cinesi nel mar cinese meridionale e per i lanci missilistici nordcoreani, potrebbe accelerare la corsa al riarmo del Giappone di Abe e destabilizzare gli equilibri regionali, scrive il quotidiano Asahi Shimbun.
Altro nodo intricatissimo è però il Tpp. Sull’accordo di libero scambio negoziato per più di un decennio, Abe ha fondato parte del suo programma di «rivitalizzazione» dell’economia giapponese. Una volta entrato in vigore, questo garantirebbe alle aziende del Sol Levante nuove fette di mercato a tariffe scontate nei paesi del bacino del Pacifico. Tokyo avrebbe poi una leva diplomatica per istituire altri accordi di libero scambio con Europa e vicini asiatici. La cosa però non è mai piaciuta al candidato Trump — in un tweet in campagna elettorale aveva scritto che i giapponesi vendevano milioni di auto all’America, ma che a Tokyo non si vede neanche una «Chevy» — e potrebbe non piacere neanche al presidente Trump. Per questo Tokyo accelera i tempi e cerca di difendere la propria causa, prima che «The Donald» dica le tre parole fatidiche: «You’re fired!».
@Ondariva