La rivolta dei gilet gialli contagia anche Spagna e Germania, ma è in Olanda e Belgio che la protesta raccoglie più consensi. E in Paesi abituati a gestire in via negoziale le tensioni, un movimento dai contorni così poco definiti desta non poca preoccupazione
L’Aja – La protesta dei gilet gialli non ha tolto il sonno solo a Emmanuel Macron. Il contagio ha colpito anche i Paesi limitrofi: Spagna, Germania, Belgio e Olanda. Soprattutto in questi ultimi due Paesi, pur senza l’escalation raggiunta a Parigi, la protesta sta raccogliendo consensi e nelle ultime due settimane ha visto una mobilitazione generale.
A dire il vero, anche Bruxelles è stata teatro lo scorso 30 novembre di una replica soft dei due weekend di scontri parigini. La marcia dei Gilets Jaunes ha fatto proseliti soprattutto nella provincia francofona e, in principio, era stata vista anche con una certa accondiscendenza dal premier Charles Michael, costretto, dopo i pessimi risultati delle amministrative di ottobre ad equilibrismi per evitare che la legislatura finisca prima della scadenza naturale del prossimo anno. Ma gli appelli alla calma e il tentativo dei manifestanti di raggiungere la sede del governo nella capitale si sono conclusi con blocchi stradali, auto della polizia date alle fiamme e 60 arresti.
MInori e quasi senza incidenti le proteste in Olanda e nelle Fiandre, la provincia belga di lingua olandese: a L’Aja il corteo ha raccolto un centinaio di attivisti mentre a Maastricht una cinquantina. La caratteristica dei Gilets Juanes belgi e dei Gele Hesjes fiamminghi-olandesi è simile a quella dei capofila francesi. Si tratta di movimenti senza organizzazione formale, con rivendicazioni che sommano punti programmatici ritagliati da destra e da sinistra, ben oltre la questione del carburante: no al patto di Marrakech, no al caro vita e, in Belgio, stop all’aumento dell’età pensionabile e un aumento salariale, in Olanda no all’aumento dell’Iva sui generi alimentari. Con leadership occasionali che possono durare giusto il tempo di un’arringa alla piazza, risentimento nei confronti dell’establishment, in queste aggregazioni temporanee di individui, molto spesso estranei all’attivismo politico tradizionale, si sono inseriti personaggi provenienti da formazioni radicali, tanto di destra quanto di sinistra.
I gruppi locali, spuntati ovunque sui social network, presentano spesso rivendicazioni antitetiche: nei Paesi Bassi, alcuni hanno fatto circolare un programma in dieci punti che ricalca posizioni socialiste e progressiste mentre il minimo denominatore comune del centinaio di attivisti che ha preso le strade de L’Aja la scorsa settimana era lo stop all’immigrazione, la lotta alle vaccinazioni obbligatorie e la guerra alle nepnieuws (le fake news) della tv di stato Nos.
A differenza della violenta protesta francese, la complessa struttura sociale consociativa di Belgio e Olanda, costruita su un fitto intreccio di compromessi, è riuscita fino ad ora – soprattutto in Belgio – a resistere all’impatto che ha colto molti di sorpresa. Ma, in Paesi abituati a gestire in via negoziale le tensioni, un movimento dai contorni così poco definiti come quello dei gilet gialli desta non poca preoccupazione.
All’ombra di Paesi benestanti che vantano alcune tra le aree con il più alto reddito pro-capite del continente, l’erosione del welfare, l’aumento del costo della vita e le difficoltà del mercato immobiliare hanno allargato la forbice tra ricchi e poveri, stritolando la classe media.
Per molti è solo l’inizio e, intanto, sui social media una nuova manifestazione è stata convocata a Bruxelles per sabato 8 dicembre così come, nella stessa giornata, dovrebbero svolgersi cortei anche a l’Aja e ad Amsterdam.
@msfregola
La rivolta dei gilet gialli contagia anche Spagna e Germania, ma è in Olanda e Belgio che la protesta raccoglie più consensi. E in Paesi abituati a gestire in via negoziale le tensioni, un movimento dai contorni così poco definiti desta non poca preoccupazione