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La rivolta dei gilets gialli e quell’impegno civile che manca


Nei giorni scorsi, una parte dei cittadini francesi si è mostrata in disaccordo con le nuove scelte di Macron. Si tratta dei cosiddetti gilets jaunes, movimento appoggiato, secondo l’Institut d’Etudes Marketing et Opinion, dal 62% di operai, dal 56% di disoccupati e da una parte di pensionati. Questi gilets jaunes sono stati gli attori di vigorose proteste – con alcune derive violente – avvenute a più riprese nell’ultimo mese non solo a Parigi ma anche a Nizza e Marsiglia, ad esempio. Il bilancio finora è di qualche vittima, un migliaio di feriti e oltre 1000 arresti. E bensì queste proteste abbiano avuto luogo nelle maggiori città francesi, il disagio e la rabbia delle persone è più accentuato nelle campagne, da dove molti di questi gilet gialli provengono. Analizziamo il motivo di questa rivolta.

Una delle prime misure che Macron ha compiuto poco dopo la sua nomina nel 2017 è stata quella di limitare la patrimoniale (Isf, impôt sur la fortune), anche definita tassa dei ricchi, solo al patrimonio immobiliare (sopra 1,3 milioni), annullandola invece sugli investimenti finanziari. Questo con l’obiettivo di alimentare l’economia nazionale, facendo in modo che gli investitori francesi investano nel paese e non preferiscano situazioni più convenienti all’estero. Da allora, per alcuni, Macron è diventato il “presidente dei ricchi”. Non ha aiutato la mancanza di facilitazioni per le famiglie indigenti che invece se le aspettavano. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la tassa sul carburante diesel, considerato più inquinante, che Macron ha voluto aumentare per riuscire a promuovere mezzi di trasporto alternativi e poter rispettare i limiti europei di emissioni di diossido di carbonio.

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