Nel nostro Paese i dati sui flussi migratori parlano di decine di migliaia di giovani che ogni anno partono. Solo nel 2013, il registro degli italiani residenti all’estero ha registrato 94.126 connazionali espatriati, con un incremento del 19,2% rispetto al 2012.
Di questi uno su due (48,3%) ha meno di 40. E occorre considerare che le cifre sono molto più alte perché non tutti gli italiani che vivono all’estero cambiano ufficialmente residenza. Le stime parlano di almeno il doppio degli espatriati. Come se ogni anno una città come Parma, con 188 mila abitanti, si trasferisse all’estero. Nel Regno Unito, il primo paese di destinazione per gli italiani in fuga, secondo il registro, gli italiani ufficialmente registrati sono 220 mila, mentre le stime sono di oltre mezzo milione a livello Paese e “solo” 250 mila nella capitale. Non a caso il Sindaco di Londra Johnson ha accolto in aprile il Premier Renzi dandogli il benvenuto nella “sesta città italiana”. Come se una città come Genova fosse trapiantata trai quartieri di Londra.
L’emigrazione all’estero assume sempre di più i connotati di un fenomeno del Centro-Nord del Paese: nella “top ten” regionale degli espatri 2013 troviamo al quarto posto la Sicilia (7818), al quinto il Piemonte (7267), al sesto l’Emilia-Romagna (6682), al settimo la Campania (6249), all’ottavo la Toscana (5159), al nono la Calabria (4716) e al decimo la Puglia (4665).
Nella classifica mondiale delle Università, la prima Università italiana, l’Università di Bologna, è al 188esimo posto seconda La Sapienza di Roma (sale al 196esimo). Terzo posto per il Politecnico di Milano (230esimo). Nelle prime 10 posizioni solo atenei inglesi e americani. I dati però non sono poi così male se letti alla luce dell’1% del Pil che il Paese investe in ricerca (quasi il 3% negli USA, quasi il 2% nel Regno Unito).
Le ultime stime rilevano che la popolazione giovanile in Africa costituisce il 65% della
popolazione, e quelli al di sotto dei 20 anni sono un numero maggiore di qualsiasi altra parte del mondo. Per quanto concerne le regioni subsahariane la transizione demografica si è tradotta in un ampio divario dell’età media tra la popolazione e i dirigenti dello Stato di circa 43 anni. Al contrario dell’Europa e Nord America dove il gap medio è di 16 anni. L’esclusione dei giovani dai gangli decisionali dell’apparato statale ha condotto ad una crescente richiesta di spazi politici, dove poter diventare attori attivi nella creazione di un futuro che riguarda soprattutto loro.
I movimenti di protesta avuti dall’inizio del decennio ad oggi sono chiare manifestazioni del malessere sociale di una intera generazione, che rispecchiano le loro rivendicazioni contro la disoccupazione, l’emarginazione socio-economica, le politiche economiche e sociali malsane, governi corrotti e di esclusione, dittatura politica e la negazione dei diritti fondamentali. Sebbene in Europa si sia avuta ampia copertura mediatica per ciò che riguardava la primavera araba, non si è tenuto conto di come le medesime istanze siano state portate avanti anche nelle regioni subsahariane (sebbene con alterne fortune).
Se da una parte i movimenti di protesta sembrano avere molti comuni denominatori in quasi tutta la regione subsahariana, dall’altro il modo in cui crescono, hanno successo e/o si esauriscono sono molto diversi.
Mozambico
Sin dalla sua indipendenza dal Portogallo (1975), il Paese è governato dal partito Frelimo, che sarà riconfermato al potere anche dopo le elezioni di ottobre 2014. Nel maggio 2013 l’organizzazione giovanile del partito unico di governo, OJM, ha visto l’azzeramento della sua dirigenza, compreso il Presidente Basilio Muhate (nato nel 1979) per divergenze politiche. Sebbene le motivazioni ufficiali non sono state dette, c’è da credere che sia per le richieste di Muhate ad attuare un cambio generazionale all’interno del partito.
Sud Africa
Sin dalle prime elezioni post-apartheid del 1994 il paese è guidato dall’ANC, che si è riaffermato durante le elezioni del maggio 2014 con oltre il 60% dei voti. Nel 2012 dal partito è fuoriuscito (espulso) il leader dell’organizzazione giovanile, ANCYL, Julius Malema (nato nel 1981) per posizioni troppo oltranziste nella redistribuzione della ricchezza che contro la minoranza bianca (oltre ad un tentativo di scalata all’interno del partito non andata a buon fine). Nel luglio 2013 ha fondato il partito Economic Freedoms Fighter che con il 6,35% è diventato il terzo partito a livello nazionale.
Senegal
Nel gennaio 2011, nella periferia di Dakar, è nato il movimento di protesta Y’en a Marre (Troppo è troppo), sotto l’impulso di alcuni rapper locali. Grazie ad una consistente organizzazione attraverso la rete (e la musica), il movimento è diventato un attore di prima importanza durante le campagne presidenziali del marzo 2012. I violenti scontri di piazza avuti nella capitale hanno segnato la fine del rapporto tra il presidente uscente Wade e una fetta consistente della popolazione giovanile (non a caso Wade poi perse le elezioni). Attualmente Y’en a Marre è ancora attivo, e porta avanti la battaglia per la redistribuzione delle terre.
Nigeria
Il paese è guidato dal 2011 dal Presidente Goodluck Jonathan del People Democratic Party. Nell’ultimo periodo si è andato a rafforzare un fronte interno al partito di maggioranza, ribattezzato New People Democratic Party che con il supporto dei giovani ha candidato un esponente del nord del paese per le prossime elezioni presidenziali (aprile 2015). Qualora tali divergenze non dovessero essere appianate entro la prossima primavera, e il presidente in carica dovesse decidere di ricandidarsi, si andrà incontro ad una spaccatura irreparabile all’interno del partito di governo. Da inizio 2014 a minare la figura di Goodluck sta contribuendo anche il terrorismo islamista di Boko Haram.
Nel nostro Paese i dati sui flussi migratori parlano di decine di migliaia di giovani che ogni anno partono. Solo nel 2013, il registro degli italiani residenti all’estero ha registrato 94.126 connazionali espatriati, con un incremento del 19,2% rispetto al 2012.