
L’alta soglia di sbarramento riduce e concentra gli oppositori di Erdogan, tra i quali si fa notare il Partito dei Curdi che punta su temi e programmi laici all’europea.
La Turchia a giugno torna alle urne per le elezioni politiche, le prime senza il Presidente della Repubblica, Recep Tayyip Erdoğan, alla guida dell’Akp, il Partito per la giustizia e lo sviluppo, che ha fondato nel 2001. Dalla sua elezione a capo dello Stato, lo scorso agosto, la guida della formazione e dell’esecutivo è passata ad Ahmet Davutoğlu, già ministro degli Esteri e fedelissimo di Erdoğan.
L’opposizione turca, a poche settimane dalle urne sembra avvolta dall’immobilismo che la caratterizza da quando Erdoğan ha preso il potere. Sono tre le formazioni politiche che si contrappongono all’Akp in parlamento, anche se, almeno due di loro, a volte hanno affiancato il partito di maggioranza nell’approvazione di alcune leggi. Il numero limitato di partiti è determinato dalla legge elettorale, che presenta uno sbarramento al 10%, più volte criticato a Bruxelles.
La prima forza di opposizione è il Chp, il Partito repubblicano del popolo, fondato niente meno che da Mustafa Kemal Atatürk, padre della Turchia moderna, di orientamento laico e repubblicano. Alle ultime elezioni ha conquistato il 26%, ma è ben lungi dal poter essere considerato una alternativa effettiva dell’Akp. Il cambio al vertice fra Deniz Baykal, che veniva considerato la causa principale dell’insuccesso elettorale, con Kemal Kılıçdaroğlu, ha portato solo parte dei miglioramenti sperati. Se il Gandhi della politica turca, come la stampa locale ha ribattezzato Kılıçdaroğlu, ha provato a cambiare l’immagine del partito, il Chp viene ancora oggi considerato un partito attaccato ai valori politici di ieri, filoeuropeo a parole, ma vetero-kemalista per quanto riguarda riforme e politiche economiche, queste ultime punto di forza per tanti anni delle campagne elettorali di Erdoğan.
La seconda forza politica è il Mhp, il Partito per il movimento nazionale, di orientamento conservatore e nazionalista. Devlet Bahçeli, suo leader dagli anni Novanta, ha condotto con un certo successo un’opera di pulizia all’interno del partito, liberandolo dagli elementi palesemente più eversivi, eredità degli anni Settanta, ma, come il Chp, fatica a rendere più attuali le politiche del partito. Certo, nella prossima campagna elettorale, avrà una nuova freccia al suo arco: la drammatica e rischiosa situazione nelle regioni di confine come Hatay e Gaziantep, che stanno risentendo più delle altre della crisi siriana e che hanno visto il loro territorio impoverirsi ulteriormente.
Una possibile riserva di voti, che non basta però a risolvere il problema alla base, ossia che manca un programma realmente contrapposto all’Akp e tutto quello che viene proposto non è un’alternativa a Erdoğan, ma una critica al suo operato. Alle scorse elezioni amministrative e presidenziali, repubblicani e nazionalisti hanno scelto la formula del candidato comune. Un passo avanti nell’iniziare a diffondere un messaggio politico diverso, ma ancora completamente insufficiente per rappresentare appieno un competitor politico dell’Akp, soprattutto se vi si aggiunge il carisma personale di Recep Tayyip Erdoğan.
La terza forza politica di opposizione sono i Curdi dell’Hdp e forse questi sono quelli che, nelle dovute proporzioni, possono rappresentare un problema per Davutoğlu e gli islamicomoderati. Alle scorse elezioni presidenziali, il cosegretario dell’Hdp, Selahattin Demirtaş, ha sfiorato il 10% dei consensi. Un risultato ragguardevole, soprattutto se si considera la grande sproporzione di mezzi a disposizione fra l’ex Premier Erdoğan in campagna elettorale e l’esposizione sui media nazionali.
In questi anni i Curdi hanno lavorato soprattutto su due componenti. La prima è il radicamento sul territorio. Questo li ha portati a piazzare loro candidati fuori dai quartieri a maggioranza curda delle grandi città e a iniziare a raccogliere consensi in posti che fino a pochi anni fa sarebbero stati impensabili. Il secondo aspetto su cui i Curdi hanno lavorato parecchio in questi anni sono proprio i contenuti del programma politico, ispirati a quelli di un partito progressista europeo.
Non è un caso che le azioni politiche dei Curdi dal 2011 in poi si siano concentrate soprattutto sulla sfera dei diritti a partire ovviamente da quelli della minoranza, che da anni cerca riconoscimenti costituzionali etnici e linguistici, per arrivare a quelli delle donne e degli omosessuali. Un programma da partito laico, socialdemocratico, tutto quello che dovrebbe rappresentare il Chp o le formazioni comuniste e socialiste che, per motivi definibili storici, sono fuori dall’arco costituzionale turco.
Anche la delusione per la lentezza con cui va avanti il memorandum fra Pkk, Partito dei Lavoratori del Kurdistan, e Akp per la cessazione della lotta armata in cambio di riconoscimenti alla minoranza, potrebbe drenare i voti di quei Curdi che alle ultime politiche concessero la loro fiducia a Erdoğan. Un partito, l’Hdp, con cui Davutoğlu potrebbe scendere a patti se, anche a giugno come nel 2011, l’Akp non raggiungerà il numero di deputati sufficienti a far passare le riforme costituzionali da solo.
L’alta soglia di sbarramento riduce e concentra gli oppositori di Erdogan, tra i quali si fa notare il Partito dei Curdi che punta su temi e programmi laici all’europea.