Google starebbe ultimando un piano per rientrare in Cina attraverso il progetto di un motore di ricerca già censurato per gli smartphone Android. Lo ha svelato The Intercept. E il suo futuro sembra legato alle relazioni con gli Usa. Ma Google è già tornato in Cina, nel campo dell’Intelligenza Artificiale
Partiamo dall’inizio: perché parliamo di un eventuale ritorno. Nel 2010, a seguito di uno scontro con le autorità cinesi che richiedevano dei filtri, oltre a quelli del Great Firewall, Google scelse di trasferirsi a Hong Kong, non accettando le richieste cinesi di provvedere a censurare le proprie ricerche su temi via via indicati dal partito comunista cinese.
La vicenda diede l’avvio a uno dei tanti dibattiti sui media internazionali sulla censura in Cina e sulla collaborazione di grandi aziende all’attività securitaria on line di Pechino (ad esempio Yahoo! che fornì le mail di alcuni dissidenti poi arrestati): mentre il mercato dell’internet cinese cresceva, per le società straniere era sempre più dura mantenere la propria policy, perché la rete in Cina forniva una massa sempre più crescente di utenti, e di soldi.
In realtà la diatriba venne risolta proprio da Pechino, perché la proposta di trasferimento a Hong Kong pare fosse stata consigliata dai funzionari del partito comunista cinese: una scelta che consentì di salvare la faccia ad entrambi i contraenti, perché a Google permise di dimostrarsi attento ai temi dei diritti umani, a Pechino di dare l’impressione di cacciare dal proprio mercato un competitor ingombrante per le proprie aziende (prima fra tutte Baidu, il “Google cinese”).
Nel frattempo Google non è certo stata a guardare sulla Cina: ha finanziato una importante start-up cinese di Intelligenza artificiale, infilandosi così nel big business di quest’epoca. Si tratta dell’azienda Mobvoi, una delle più importanti start-up nel panorama cinese in tema di AI (si tratta di un’applicazione di tecnologia vocale), insieme a SenseTime e CloudWalk, specializzate in riconoscimento facciale.
Questo è accaduto nel 2015 e non si può che sottolineare la lungimiranza di Google: se ancora gli Usa guidano i finanziamenti alla ricerca per l’intelligenza artificiale, nel 2018 sono state proprio le startup cinesi a realizzare il massimo dei finanziamenti da fondi e aziende in giro per il mondo. Ma non solo, perché nel 2017 Google ha creato un Google AI China Center a Pechino, specializzato nella ricerca in intelligenza artificiale: i tempi per tornare a contrattare con le autorità cinesi, dunque, sono più che maturi.
E in questi giorni, secondo The Intercept – il sito che per primo raccontò con gli articoli-rivelazione di Glenn Greenwald, il Datagate di Edward Snowden, con il protagonista rifugiato proprio a Hong Kong prima di andare in Russia – Google starebbe sviluppando un’app per smartphone ad hoc per il mercato mobile cinese. Un’app che prevederebbe dei contenuti già censurati e quindi in grado di soddisfare la dirigenza cinese.
Secondo il materiale raccolto da The Intercept – anche attraverso alcune fonti rimaste anonime – il progetto potrebbe divenire effettivo e sbarcare in Cina già nel 2019, sempre che l’attuale guerra commerciale tra Pechino e Washington non crei intoppi. A quanto si sa l’idea di Google sarebbe stata discussa con Wang Huning, che oltre ad essere uno dei sette membri del comitato centrale del Politburo cinese, è anche l’ideologo che si nasconde dietro le proposte teoriche e ontologiche di Xi Jinping. Considerato il teorico del nuovo autoritarismo, come abbiamo scritto su eastwest.eu, Wang è l’uomo giusto per assicurarsi che Google segua le direttiva pechinesi.
Il progetto di Google, secondo The Intercept avrebbe un nome in codice, chiamato Dragonfly e sarebbe attivo fin dalla primavera del 2017. I progressi sul progetto avrebbero avuto un’accelerazione dopo un incontro svoltosi lo scorso dicembre tra l’amministratore delegato di Google Sundar Pichai e un alto funzionario del governo cinese.
Come riporta The Intercept «I termini di ricerca sui diritti umani, la democrazia, la religione e le proteste pacifiche saranno tra le parole nella lista nera nella app del motore di ricerca»: l’app sarebbe già stata mostrata al governo cinese per dimostrare il suo corretto – secondo i canoni cinesi, evidentemente – funzionamento. La versione definitiva – si dice – potrebbe essere lanciata nei prossimi sei/nove mesi, in attesa dell’approvazione da parte dei funzionari cinesi.
Se i rapporti Usa-Cina si manterranno all’interno di uno scontro commerciale contenuto, come è stato fin d’ora, pur se non privo di incognite – potrebbe giungere dunque un momento importante per la storia dell’internet cinese; ancora più del 2010, del resto, il mercato cinese non può essere ignorato e non è un caso che Google pensi alle app: oltre il 95 per cento dei cinesi (oltre 770 milioni), ormai, si collega alla rete via smartphone.
@simopieranni
Google starebbe ultimando un piano per rientrare in Cina attraverso il progetto di un motore di ricerca già censurato per gli smartphone Android. Lo ha svelato The Intercept. E il suo futuro sembra legato alle relazioni con gli Usa. Ma Google è già tornato in Cina, nel campo dell’Intelligenza Artificiale
Partiamo dall’inizio: perché parliamo di un eventuale ritorno. Nel 2010, a seguito di uno scontro con le autorità cinesi che richiedevano dei filtri, oltre a quelli del Great Firewall, Google scelse di trasferirsi a Hong Kong, non accettando le richieste cinesi di provvedere a censurare le proprie ricerche su temi via via indicati dal partito comunista cinese.
La vicenda diede l’avvio a uno dei tanti dibattiti sui media internazionali sulla censura in Cina e sulla collaborazione di grandi aziende all’attività securitaria on line di Pechino (ad esempio Yahoo! che fornì le mail di alcuni dissidenti poi arrestati): mentre il mercato dell’internet cinese cresceva, per le società straniere era sempre più dura mantenere la propria policy, perché la rete in Cina forniva una massa sempre più crescente di utenti, e di soldi.