Interferenze esterne, finanziamenti illegali, movimenti speculativi: a nove mesi dalla Brexit, si moltiplicano le inchieste, giornalistiche e parlamentari, sul referendum che ha sancito l’uscita del Regno dalla Ue. Tra i soliti sospetti svetta Nigel Farage, ma è in buona compagnia
Londra – Gli organi di stampa ne parlano poco e male, i politici la considerano una patata bollente, i negoziatori ne ricavano pessimismo e frustrazione. A 9 mesi dalla data fatidica in cui dovrebbe materializzarsi, Brexit è il convitato di pietra che nessuno vuole al proprio tavolo.
Anche per questo l’opinione pubblica fa poca attenzione alle molte inchieste sulle ombre all’origine del referendum sull’uscita dall’Unione europea: interferenze esterne, finanziamenti illegali, movimenti speculativi che hanno fatto l’interesse di pochi sulla pelle di molti. E non siamo nel campo nebuloso del complottismo, se ad approfondire quei sospetti sono commissioni parlamentari e autorevoli organi di stampa.
Ecco i principali.
The Brexit Short
L’inchiesta è stata pubblicata da Bloomberg Business Week al termine di 7 mesi di lavoro dei giornalisti Cam Simpson, Gavin Finch e Kit Chellel, con interviste ad almeno 30 fonti diverse, rigorosamente riservate: è accurata, approfondita e documentata, e suggerisce che Nigel Farage, principale artefice e trionfatore del referendum del 23 giugno 2016, sul quel voto abbia fatto insider trading a favore di alcuni amici della City, banchieri ai vertici di hedge funds che puntando contro la sterlina (shorting the pound) avrebbero guadagnato milioni.
Ricordiamo bene la dichiarazione di Farage, mandata in onda su Sky alle 22.04 del 23 giugno, ad urne appena chiuse, ma registrata venti minuti prima: «È stata una campagna referendaria straordinaria, con un’affluenza eccezionalmente alta. Ma sembra che sarà il Remain a spuntarla».
Gran colpaccio di Sky, avere quasi in tempo reale l’ammissione del Grande Sconfitto. Che un’ora dopo, ai microfoni della Press Association, ribadiva: «Mi piacerebbe molto sbagliarmi, ma questo mi risulta dai sondaggi di amici in finanza». Effetto immediato? La sterlina che, alle 22.52, schizza a 1.50 contro il dollaro.
E poco dopo, quando appare chiaro che è stato il Leave a vincere, precipita, fino a toccare il fondo di 1.32 contro il dollaro verso le 5.30 del 24 giugno.
Secondo Business Week “Hedge funds decisi a guadagnare forti somme quel giorno avevano assunto YouGov e almeno altre 5 società di sondaggi, fra cui Survation, la preferita di Farage – fornendo loro dati che sarebbe stato illegale fornire al pubblico. Grazie a queste informazioni, ottenute prima che fossero rese note, si sono trovati nella posizione perfetta per speculare sul risultato”.
E la tempestivissima dichiarazione di Farage li avrebbe agevolati. Lui naturalmente ha negato: «Non avevo nessuna conoscenza di quei sondaggi prima delle 22 di sera, nè alcun interesse finanziario nei risultati. Sostenere il contrario è una completa falsità».
E però il New European ha pubblicato una foto esclusiva che lo ritrae, alle 3.35 del 24 giugno, indicare con un sorriso molto compiaciuto il grafico che illustra il crollo della sterlina.
Le interferenze esterne
C’entra ancora Farage, stavolta in combutta con Arron Banks, prima oscuro miliardario, poi grande finanziatore della campagna leave.uk. Secondo Robert Mueller potrebbero avere avuto un ruolo nelle presunte interferenze russe sia su Brexit che sull’elezione di Donald Trump a presidente Usa, agendo da intermediari fra l’entourage di Trump e il versatile ambasciatore russo a Londra Alexander Yakovenko, con cui Banks avrebbe scambiato centinaia di email e che avrebbe incontrato almeno quattro volte nei dodici mesi precedenti il voto presidenziale.
Alla campagna di Farage, Banks donò senza battere ciglio un totale di 8milioni d sterline, fra cui 6 in prestito – un prestito da restituire a fine 2017 ma che lui non ha mai chiesto indietro.
Sulla legittimità di quella donazione, e sulle origini della fortuna di Banks, indagano da tempo Open Democracy e Source Material, che hanno messo in dubbio non solo le fonti della sua ricchezza – un impero che va dalle assicurazioni alle miniere in Africa – ma anche la sua reale consistenza, che potrebbe essere ampiamente esagerata.
E non hanno ancora trovato una risposta definitiva alla domanda: come ha fatto Banks a permettersi di finanziare Brexit? In altre parole, è possibile che Banks sia stato l’intermediario per finanziamenti e interessi oscuri?
Intanto, grazie anche alle rivelazioni di Open Democracy, su Banks indagano la Commissione elettorale, che vuole capire se quei finanziamenti siano stati regolari e legali, e l’Information Commissioner Officer, che sospetta violazioni del Data Protection Act, cioè abuso dei dati di potenziali elettori – mentre sono ormai noti, grazie soprattutto al lavoro di Carole Cadwalladr dell’Observer, i “rapporti incestuosi” fra Leave.eu e Cambridge Analytica.
Finora si è scoperto che, insieme, Grassroots out e leave.uk, i due principali gruppi di lobby finanziati da Arron Banks, avrebbero raccolto quasi 11.7 milioni in donazioni. Finora ne hanno rendicontato meno di un milione. Dove sono finiti gli altri 10.8?
Il misterioso contributo del DUP
Il Democratic Unionist Party della coriacea Arlene Foster è un partito piccolo ma decisivo in molte partite. È, con il Sinn Fein, l’ago della bilancia nei difficili equilibri politici del Nord Irlanda, che non ha un governo dal gennaio 2017. Ed è l’alleato/spina nel fianco del governo May, la cui tenuta, dopo le disastrose elezioni del giungo scorso dipende dall’appoggio esterno dei 10 parlamentari unionisti. Assetti noti, mentre meno noto, e ancora courtesy di OpenDemocracy, è il fatto che il Dup ha investito nella campagna pro Leave la somma di 435mila pound. In una consultazione dai margini così risicati (51.9% dei votanti per il Leave) quasi mezzo milione di pound possono aver spostato voti significativi.
E ancora meno nota è l’identità dei donatori, visto che, per ragioni legate ai Troubles, i finanziatori dei partiti politici nord-irlandesi hanno per molti anni goduto della protezione dell’anonimato. Almeno fino allo scorso marzo, quando per la prima volta la Commissione elettorale britannica ha imposto di rivelare l’origine dei finanziamenti ai partiti dell’Ulster, quasi tutti publici. Su quei 435mila pound però è ancora mistero.
L’ovvio sospetto è Theresa May, fra gli altri, non sia così ansiosa di dissiparlo.
@permorgana
Interferenze esterne, finanziamenti illegali, movimenti speculativi: a nove mesi dalla Brexit, si moltiplicano le inchieste, giornalistiche e parlamentari, sul referendum che ha sancito l’uscita del Regno dalla Ue. Tra i soliti sospetti svetta Nigel Farage, ma è in buona compagnia