“Una volta la domanda era: essere o non essere? Adesso in Gran Bretagna ci chiediamo: rimanere o non rimanere?”. E se lo dice un’attrice dal palcoscenico del Globe Theatre, interrompendo Macbeth, la più cupa delle tragedie di Shakespeare, per ironizzare su Farage e la Brexit, possiamo dire che, a modo suo, la Gran Bretagna alla vigilia del referendum, è sull’orlo di una crisi di nervi.
Gli ultimi sondaggi, che danno il ‘remain’, ossia la scelta di restare in Unione Europea, in leggero vantaggio, certo non bastano a fare stare tranquilli. Per fare in modo che l’incubo Brexit venga scongiurato definitivamente, non basterebbe la perfidia di Lady Macbeth, forse nemmeno un miracolo.
Anche perché, il remain sarà in vantaggio, ma almeno nella vita di tutti i giorni, si ha la netta impressione che il partito del ‘Leave’, ossia quello a favore dell’uscita dall’Unione Europea, sia se non più numeroso, certo più rumoroso. Martedì, a 48 ore dal voto chiave, è stata una giornata campale.
I quotidiani sono usciti in edicola con i tradizionali endorsements e se dal Guardian è arrivato un pacato e ragionato invito a votare per rimanere nel club di Bruxelles, il Daily Telegraph, l’organo dei conservatori più irriducibili, ha coniato lo slogan ‘out and proud’. Fuori e orgogliosi. Il Daily Mirror regala il poster della Brexit ai suoi lettori, perché in questa crisi di nervi ormai mancava solo il merchandising.
Ormai per fare votare la gente, le si studiano proprio tutte. Sempre il Guardian questa mattina ha rivelato che i coniugi Beckham sono pronti a votare ‘Remain’, mentre fra quelli che nutrono seri dubbi ci sarebbe niente meno che la Regina Elisabetta, che durante una cena avrebbe chiesto di fornirle ‘almeno tre motivi’ per restare un Unione Europea.
Intanto martedì sera, la Bbc ha ospitato un dibattito fra favorevoli e contrari dove, almeno qui, un dato è certo: a livello di carisma e di argomentazioni, quelli per il no all’uscita sono stati molto più bravi. Ruth Davidson, leader dei Tories scozzesi, ha letteralmente annichilito Boris Johnson, ex sindaco di Londra e che ambisce alla leadership del partito conservatore, ma che dopo questo referendum potrebbe essere ricordato come una meteora della politica inglese e questa sarebbe l’unica buona notizia di tutta questa faccenda.
Il premier, David Cameron, proprio lui che aveva indetto la consultazione lo scorso 16 febbraio, ormai fa un appello al giorno perché la Gran Bretagna non esca. Gli economisti sono divisi, e anche in questo caso, quelli a favore della Brexit particolarmente tignosi. Gli accademici hanno affermato che senza i cervelli che arrivano dall’estero sarebbe un disastro.
Gli inglesi hanno un’unica certezza: che domani si vota e che si concluderà un periodo in cui il confronto politico è arrivato a livelli inaccettabili per il Paese. Per il resto: fino a giovedì sera alle 20 “remain or not remain. This is the question”.
“Una volta la domanda era: essere o non essere? Adesso in Gran Bretagna ci chiediamo: rimanere o non rimanere?”. E se lo dice un’attrice dal palcoscenico del Globe Theatre, interrompendo Macbeth, la più cupa delle tragedie di Shakespeare, per ironizzare su Farage e la Brexit, possiamo dire che, a modo suo, la Gran Bretagna alla vigilia del referendum, è sull’orlo di una crisi di nervi.