L’Iran non si nasconde più. Il continuo lancio di missili contro l’Arabia Saudita da parte dei ribelli sciiti Houthi “modifica un conflitto locale in guerra regionale”, avverte l’Onu. Una escalation in corso quando sul piano locale per lo Yemen la pace sembra farsi più vicina
A tre anni di distanza dall’inizio della guerra in Yemen che, secondo l’erede al trono saudita Mohamed bin Salman, sarebbe dovuta essere veloce e mediamente indolore, piuttosto che far soffiare venti di pace le parti in conflitto intensificano le sfide armate e le accuse verbali. E il conflitto che, di base, nasce come locale va verso una escalation regionale ancora più definita, con Arabia Saudita e Iran opponenti senza filtri e l’Iran assai meno preoccupato di nascondere la mano dietro il dito delle milizie Houthi in Yemen.
La miccia della nuova fase del conflitto, entrato nel suo terzo anno di azione, con più di 10mila morti complessivi, 15mila feriti e più di 18milioni di persone in necessità di aiuti umanitari e a rischio povertà e malnutrizione, è stato il lancio di un paio di missili balistici da parte dei ribelli Houthi, contro aree urbane verso l’Arabia Saudita lo scorso 25 marzo. L’attacco ha causato la morte di un lavoratore immigrato egiziano e ha ferito altre due persone nella capitale Riyadh, secondo l’agenzia ufficiale saudita.
Certamente non è la prima volta che i ribelli Houthi tentano di forzare lo spazio aereo saudita e con successo: gli episodi precedenti risalgono al novembre 2017, quando uno Scud Burkan 2 dal raggio di 800 chilometri avrebbe raggiunto la capitale saudita, nell’area urbana prospiciente l’aeroporto internazionale King Khalid. L’attacco, la cui notizia è stata diffusa dai canali ufficiali Twitter dei ribelli e dalla tv al-Masirah, organo di stampa della milizia yemenita, ha avuto conferma anche da parte saudita. Il colonnello Turki al-Maliki ha infatti reso noto che il sistema di difesa saudita ha intercettato il missile e lo ha abbattuto con un Patriot terra-aria.
Non ci sarebbero state morti accidentali, stavolta, come invece le volte precedenti, sempre annunciate dai canali di comunicazione Houthi ma che non sempre hanno trovato piena conferma saudita, come il missile lanciato lo scorso 4 aprile verso l’area di Jiza, con l’obiettivo di colpire gli stabilimenti della Saudi Aramco, il colosso petrolifero saudita. In quel caso l’agenzia Saba, controllata dagli Houthi, aveva diffuso notizia e prove documentali; la tv saudita Ekhbariya rendeva nota la distruzione di un missile sui cieli di Jiza; ma la Saudi Aramco non ha mai confermato né smentito l’accaduto, preferendo il silenzio stampa.
L’insistenza degli attacchi da parte degli Houthi e l’esito dell’ultimo attacco hanno però modificato sia la reazione saudita che il pronunciamento delle Nazioni Unite e delle organizzazioni internazionali. Un pronunciamento che, su spinta delle accuse saudite, si è concretizzato in un report che condanna l’azione degli Houthi verso Riyadh, dando un più chiaro spessore sul ruolo – finora non primario o ritenuto marginale – dell’Iran del conflitto.
Nonostante in tre anni di guerra le evidenze dei rapporti tra Houthi e Iran apparissero indirette rispetto, invece, al chiaro legame con le dirigenze di Hezbollah in Libano e solo alcuni episodi facessero pensare a un sostegno più politico e strategico che economico o militare, l’azione del 25 marzo ha sollevato il velo sul ruolo che l’Iran avrebbe nei confronti dei proxies yemeniti, confermando accuse già espresse, se ce ne fosse stato bisogno.
Già il report delle Nazioni Unite rilasciato lo scorso 12 gennaio puntava il dito su Teheran, accusando l’Iran di avere violato l’embargo imposto sul Paese per fornire ai ribelli Houthi forniture militari in Yemen. Il Consiglio di Sicurezza, nelle 79 pagine del report, avrebbe identificato, dai resti dei missili rinvenuti in Arabia Saudita e analizzati nel novembre 2017, prove sufficienti di complicità dell’Iran, con violazione del paragrafo 14 della risoluzione 2216 di embargo di armi verso lo Yemen in guerra: l’investigazione avrebbe infatti dimostrato che i resti dei missili si riferivano a un Qiam-1 di manifattura iraniana. Il report accusa l’Iran anche di avere inviato esperti di balistica in aiuto dei ribelli Houthi, per potenziare la loro capacità militare.
Certamente, il lancio dei missili ha avuto il potere di “modificare il conflitto locale in una guerra regionale”, dicono gli esperti dell’Onu, in un contesto di guerra in cui precedentemente i ribelli Houthi apparivano soprattutto come parte offesa, a causa dei ripetuti e intensi bombardamenti della Coalizione a guida saudita, con migliaia di vittime civili soprattutto nel Nord.
Alla condanna delle Nazioni Unite si sono associate anche altre organizzazioni internazionali. «Gli Houthi devono fermare immediatamente il lancio indiscriminato di missili. La illiceità dei raid aerei della Coalizione non giustifica gli Houthi dal programmare questi attacchi verso aree densamente popolate dell’Arabia Saudita» dice Sarah Leah Wilson, direttore dell’ufficio per il Medio Oriente di Human Rights Watch. E aggiunge: «I sauditi non dovrebbero, però, nemmeno utilizzare il lancio di missili da parte degli Houthi per giustificare il mancato recapito di beni umanitari verso lo Yemen e la sua popolazione».
Infatti, l’embargo imposto dalla Coalizione dalla fine del 2017 penalizza soprattutto il nord del Paese, a causa della chiusura di tutti i porti e gli aeroporti, rendendo faticoso, lungo e complesso il passaggio di beni commerciali e umanitari dalla città di Aden alle zone sotto il controllo dei ribelli. Ed è, di fatto, una ulteriore arma di guerra che pone entrambi gli opponenti in questo conflitto su un piano di vicendevoli responsabilità.
Ma se sul versante ufficiale le tensioni tra Arabia Saudita e Iran sono palpabili, sul piano locale i signori della guerra cercano di capire se i vantaggi della chiusura del conflitto adesso possano essere maggiori che un suo prolungamento ulteriore. Due diplomatici e due ufficiali yemeniti hanno riferito a Reuters su condizione di anonimato che il portavoce degli Houthi, Mohammed Abdul-Salam, parla costantemente con alcuni ufficiali sauditi e che l’Oman ha recentemente ospitato degli incontri riservatissimi per trovare una soluzione al conflitto. Interessante sapere che da questi incontri sarebbero stati esclusi rappresentanti ufficiali del governo yemenita in carica, ancora guidato da Abd- Rabbuh Mansour Hadi, un presidente che ha perduto progressivamente consenso già del 2014 e che è attualmente in esilio in Arabia Saudita.
E di più, nessuna scelta è stata fatta per coinvolgere in alcun modo rappresentanti delle Nazioni Unite, considerando che tutti i precedenti inviati speciali in Yemen hanno fallito il loro mandato e che il nuovo inviato Onu, il diplomatico britannico Martin Griffiths, si è appena insediato. L’avvicinamento tra gli Houthi e i sauditi è dunque un desiderio vicendevole ma i termini di realizzazione devono essere ancora una volta locali e impongono a entrambe le parti di risolvere un nodo piuttosto problematico: decidere come e quando agire nei confronti del presidente Hadi e del suo establishment, vicino agli Islahi, i Fratelli musulmani yemeniti, notoriamente non graditi sia agli Houthi che – per motivi legati all’antagonismo con il Qatar e alla partnership con gli Emirati – a Riyadh.
@battgirl74
L’Iran non si nasconde più. Il continuo lancio di missili contro l’Arabia Saudita da parte dei ribelli sciiti Houthi “modifica un conflitto locale in guerra regionale”, avverte l’Onu. Una escalation in corso quando sul piano locale per lo Yemen la pace sembra farsi più vicina