La celebre festa dei colori in India ha radici che affondano nella tradizione e nella religione, delle quali in questo post non parleremo (ma chi volesse, può leggersi questo pezzo pubblicato qualche tempo fa su China Files). Qui parleremo di come festeggiano Holi i giovani universitari di New Delhi: clima da rave e fiumi di bhang.

I preparativi iniziano dalla sera prima, domenica, quando tornato a casa dalla spesa per Holi (pistole ad acqua, colori in polvere, vestiti bianchi da buttare) mi trovo il terrazzo di casa occupato dalle truppe del nostro condominio: la figlia dell’affittuario assieme a un paio di amichetti, età pre adolescenziale, alle prese con uno scontro a fuoco a bassa intensità coi figli del dirimpettaio. In mancanza di una strategia bellica ben definita – spreco di munizioni lanciate a casaccio, nessuna sinergia nelle truppe – provo a fiaccare i reparti ostili suggerendo un attacco in due fasi: fase caricamento palloncini, riparati dietro il parapetto del tetto; fuoco ad alta intensità, bombardamento a tappeto di vietnamita memoria. Forse per il gap linguistico o l’inesperienza del reggimento – per la prima volta alle prese con degli ordini precisi estesi dal rappresentante della potenza colonialista italica – lascio i bambini alla banale ludicità della festa, sotto lo sguardo severo di mister Prim-ji, l’affituario.
La mattina di Holi raggiungere il “campo di battaglia” della Jawaharlal Nehru University (Jnu) è un’impresa: le trattative per il prezzo del riksha – inamovibile dal raddoppiare il costo della tratta – sono continuamente interrotte dal fuoco incrociato di schiere di bambini svegli fin dalle 8 di mattina, di vedetta per le strade deserte del quartiere. Ma arrivati all’università, il tenore della festa cambia radicalmente.

Il bhang è una bevanda tradizionale indiana fatta con un sapiente mix di latte, burro chiarificato, spezie e un battuto di cannabis femmina (foglie e fiori), usata prevalentemente da santoni ed asceti per raggiungere con più facilità stati trascendentali dello spirito (leggi: strafarsi). La bevanda in India è legale e la sua distribuzione è regolamentata dal governo che in occasioni come la festività di Holi, come si dice, apre i rubinetti.
Nello specifico, presso il campus della Jnu, la sera prima di Holi una serie di camion governativi trasportano scorte di bhang conservate in decine di taniche che, il giorno seguente, vengono distribuite gratuitamente agli studenti nella sala mensa del campus. Lo ripeto: il governo indiano ogni anno inonda i campus unversitari del paese con fiumi di marijuana liquida.
Gli effetti sulla popolazione festosa sono facilmente deducibili. Se durante le prime ore del mattino gli studenti passeggiano armati di pistole ad acqua e sacche di polveri colorate, giocando a riempire viso e corpo degli altri con quanti più colori possibili, non appena gli effetti del bhang salgono la miscela di centinaia di post adolescenti – con relativi ormoni repressi tutto l’anno – caldo e Thc deflagra in un delirio autenticamente liberatorio. È Holi, sono strafatto e vaffanculo tutti, per una volta faccio come mi pare.
Lo spiazzo centrale di uno dei dormitori maschili si riempie di gente felicemente devastata dall’uso di cannabinoidi: ci si abbraccia, si spara acqua colorata si aggrediscono a turno i compagni di corso – maschi – strappando le magliette ormai inutilizzabili e se ne lanciano i resti sui rami più alti, ci si lancia nel fango, si improvvisano drum sessions con qualsiasi oggetto contundente alla portata, il tutto alla ricerca dei più previdenti che la mattina si sono presentati alla fila per il bhang con le bottiglie da due litri di Coca Cola svuotate e conservate per almeno una settimana: riserve mobili di spensieratezza liquida.
Come tutte le esperienze stupefacenti, quello che il bhang dà prima o poi il bhang reclama. Succede verso l’1 di pomeriggio, quando la folla festante inizia a diradarsi in cerca di riparo dal sole, di cibo e di un posto tranquillo dove poter accusare con più dignita possibile la parabola discendente dell’estasi cannabinoide. Ci si ritira nelle camere per gli after party, ospiti di studenti previdenti muniti di rifornimenti – mai come quel momento auspicabili e auspicati – di patatine, snack salati, dolcetti di Holi (un concentrato di burro e latte fritto nell’olio) e birra gelata.
Sul campo di battaglia, in un panorama post technorave, rimangono i reduci meno accorti, piegati sui canali di scolo a vomitare bhang e colori in polvere inavvertitamente ingeriti, mezzi svenuti all’ombra di qualche albero, alla ricerca delle forze che dovrebbero portarli – in una manciata di ore – in uno dei moltissimi party serali di Holi.
Feste che la ritrovata lucidità dei potenziali festanti farà boicottare con scuse superficiali e fantasiose che nessuno sarà chiamato a giustificare. Quando il bhang toglie, non servono spiegazioni.

La celebre festa dei colori in India ha radici che affondano nella tradizione e nella religione, delle quali in questo post non parleremo (ma chi volesse, può leggersi questo pezzo pubblicato qualche tempo fa su China Files). Qui parleremo di come festeggiano Holi i giovani universitari di New Delhi: clima da rave e fiumi di bhang.