Il tema del marital rape, lo stupro subìto dalle mogli da parte dei mariti, in India emerge a ondate alterne, spesso in riferimento a dichiarazioni da brividi da parte di una classe politica che, ad oggi, non è ancora riuscita a promulgare una legge chiara che ne facesse un reato penale. Oggi, in India, se un marito stupra sua moglie, non ci sono leggi alle quali appellarsi se non far rientrare il caso nell’insieme vago delle violenze domestiche. Ma lo stupro è stupro, anche dopo il matrimonio, nonostante la politica faccia di tutto per dire il contrario.
Le ultime uscite sconcertanti sono arrivate dalla ministra per lo sviluppo di donne e bambini, Maneka Gandhi – vedova di Sanjay, a sua volta figlio di Indira e fratello di Rajiv; a differenza del resto dei Gandhi (escluso suo figlio, Varun), esponente del Bharatiya Janata Party (Bjp) – in verità abbastanza sconnesse tra loro.
Nel mese di marzo, aveva dichiarato pubblicamente che l’India «non è ancora pronta» per una legge contro il marital rape, a causa di fattori come «analfabetismo, povertà, usi e costumi sociali, credenze religiose e il concetto di santità del matrimonio».
Un mese dopo, Gandhi ribaltava la propria posizione, annunciando che qualcosa si stava muovendo all’interno dell’esecutivo per criminalizzare il marital rape.
Lo scorso cinque maggio fa ancora marcia indietro, spiegando che «incorporare casi di marital rape all’interno del codice penale indiano metterebbe pressione sulle famiglie».
Fino ad arrivare al 17 maggio, quando sostiene che «non ci sono denunce di marital rape, le donne ne parlano solo a matrimonio finito», glissando abilmente sulla minaccia di ritorsioni da parte del marito stesso o delle famiglie – sia la propria, sia quella del marito, con la quale tradizionalmente ci si ritrova a convivere una volta sposati – che le donne vittime di marital rape si trovano a subire, disincentivando la denuncia.
Districandosi tra i meandri illogici di Gandhi, se ne può ricavare un fotogramma nitido delle complicazioni reali che una legge sul marital rape avrebbe nella società indiana contemporanea, ancora saldamente ancorata alle proprie radici patriarcali.
Detto prendendo in prestito le parole di Vaishna Roy, che sul The Hindu qualche tempo fa pubblicava un commento molto azzeccato sul tema, «Il matrimonio in India è, tra le altre cose, un contratto sessuale che dà all’uomo un consenso al sesso sottinteso e senza scadenza. Rafforza il “diritto alla proprietà” dell’uomo sulla propria moglie. Ciò nega alla donna ogni parte attiva decisionale sul proprio corpo, sulla propria sessualità, sulle proprie funzioni riproduttive.
Rifiutarsi di criminalizzare il marital rape significa accettare che la coercizione sessuale contro la donna, finché si manifesti all’interno del matrimonio, sia appoggiata sia dal governo che dalla società. Se le donne sono destinate a riprendere il controllo delle proprie vite, devono poter ottenere il diritto di dire “no” ai propri mariti senza essere penalizzate socialmente. Il mito della “moglie devota” e del “diritto coniugale” [al sesso] deve finire perché il sesso matrimoniale, come il sesso in generale, deve essere mutualmente consenziente e piacevole».
Una resa tristemente vivida della situazione l’ha data il collettivo satirico Girlyapa in questa clip di 15 minuti intitolata How I Raped Your Mother.
Il video (in hindi, ma i sottotitoli automatici in inglese di Youtube sono abbastanza fedeli, provate!) utilizza i canoni classici della sit-com americana per raccontare il tenore di una discussione in famiglia quando la figlia, appena sposata, racconta di essere stata stuprata dal marito.
Si ride, amaramente. Poi ci si pensa su e non si ride più.
{youtube}xLLxUvdmQpw{/youtube}
@majunteo