Il Cairo – Il primo anniversario del massacro di Rabaa el-Adaweya è finito nel sangue. Sette sono stati i morti nelle violenze tra islamisti e polizia. Tre vittime si sono registrate solo nel quartiere disagiato di Matarreya, nella periferia del Cairo, una quarta nel sobborgo di Dar es-Salam.

Le proteste erano state precedute da decine di arresti nelle roccaforti della Fratellanza nel Delta del Nilo, mentre piazza Tahrir era stata chiusa a oltranza da giorni, con il presidio permanente dell’esercito, per prevenire ogni manifestazione.
Rabaa al-Adaweya, un anno fa
Un anno fa, intorno a Rabaa al-Adaweya, moschea del quartiere residenziale Medinat Nassr al Cairo, è stato compiuto il «più grande massacro della storia recente, in un solo giorno». È quanto si legge nel report reso noto ieri da Human Rights Watch (Hrw) sul massacro di Rabaa. Per oltre 40 giorni i sostenitori dei Fratelli musulmani si sono accampati intorno alla moschea e nelle piazze di tutte le grandi città egiziane.
Secondo Hrw, sono stati 1.150 i morti (secondo altre fonti oltre 2.800 persone sono scomparse quel giorno) e non 660, come confermato dalla Commissione governativa sul massacro di Rabaa, duramente contestata dai Fratelli musulmani. Per il think tank, responsabile della carneficina è stato prima di tutto il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi. A «pianificare il massacro» sarebbero stati l’ex capo delle forze armate, il ministro dell’Interno, Mohammed Ibrahim, e il comandante delle Forze speciali nelle operazioni a Rabaa, Medhat Menshawy.«Non si è trattato di un semplice uso sproporzionato della violenza o di mancanza di esperienza. È stato un massacro pianificato ai livelli più alti del governo egiziano. Molti degli ufficiali sono ancora al potere e avrebbero tante domande a cui rispondere», ha denunciato Hrw, chiedendo la fine immediata degli aiuti militari all’Egitto. Eppure, i dirigenti del think tank per la difesa dei diritti umani, Kenneth Roth e Leah Whitson, sono stati fermati all’aeroporto del Cairo alla vigilia della presentazione del report, completo e impressionante, sui fatti di Rabaa.
Si consolida l’asse Sisi-Putin
Ma per l’Egitto il problema principale è ora la crisi economica. Per questo, l’ex generale Sisi sta puntando soprattutto sull’asse con Mosca. Dopo la visita al presidente Vladimir Putin, è stato annunciato un accordo per la creazione di una zona di libero scambio con la Russia in Egitto. Secondo le autorità egiziane, non si tratterà solo di scambi di merci, esenti da dazi, ma gli accordi innescheranno una crescita negli investimenti esteri. «Speriamo che la Russia possa creare una zona industriale in coincidenza con il lancio del nuovo Canale di Suez che sarà completato in un anno», ha detto Sisi in visita a Mosca. Il riferimento è al progetto, annunciato la scorsa settimana, che vedrà raddoppiare il Canale di Suez.
Nella visita si è parlato anche del mercato del grano, estremamente problematico per l’Egitto. Le esportazioni di grano russo dovrebbero crescere nei prossimi anni, dopo la gravissima crisi del 2012, mentre Mosca ha promesso un incremento delle importazioni di prodotti agricoli dal Cairo. Questo potrebbe avere l’effetto di bypassare le sanzioni, previste dall’Unione europea contro Mosca, dopo la crisi in Ucraina. Putin e Sisi hanno anche discusso di un accordo congiunto per la creazione di un sistema contro attacchi missilistici, per la fornitura di elicotteri per il trasporto militare, navi da guerra e Mig-29.
Il massacro di Rabaa ha riportato indietro l’Egitto di decenni, alla totale arbitrarietà de l’élite militare, connivente con polizia e giudici. I Fratelli musulmani sono stati completamente esclusi dall’arena politica e non potranno prendere parte alle elezioni parlamentari di autunno. Il modello dominante, forgiato da Sisi, è la guerra generica dello stato contro il terrorismo (come se gli islamisti fossero tutti terroristi, senza distinzioni). Se gli egiziani per primi hanno digerito questa strategia, lo schema è piaciuto molto anche all’ex generale Khalifa Haftar in Libia, al presidente Bashar al-Assad in Siria e al presidente israeliano Benjamin Netanyahu.
Ma il danno maggiore è stato fatto a Gaza. La mediazione egiziana, accreditata dalle diplomazie di mezzo mondo, sta estromettendo Hamas dalla Striscia e riportando il controllo dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) a Gaza.
Nei colloqui indiretti in corso al Cairo, il presidente Sisi ha infatti chiesto di stralciare la riapertura del valico di Rafah dai negoziati e ha auspicato l’esclusione del movimento palestinese che governa Gaza dalla gestione politica della Striscia in favore dell’Anp, che dovrebbe essere anche direttamente responsabile della sicurezza dei valichi di confine. Questo è uno dei nodi che ha determinato fin qui il fallimento della mediazione egiziana nel conflitto.
Il Cairo – Il primo anniversario del massacro di Rabaa el-Adaweya è finito nel sangue. Sette sono stati i morti nelle violenze tra islamisti e polizia. Tre vittime si sono registrate solo nel quartiere disagiato di Matarreya, nella periferia del Cairo, una quarta nel sobborgo di Dar es-Salam.