In Arabo, ‘bidūn’ significa ‘senza’. In Arabia Saudita e nei Paesi del Golfo il termine “bidūn” ha acquisito, tuttavia, anche un’altra accezione, andando a indicare gli individui senza nazionalità che abitano in queste zone. Minoranza negletta dai governi e soggetta a discriminazioni continue, I bidūn non godono dei diritti di cittadinanza proprio nei luoghi in cui sono nati e hanno sempre vissuto.
Figli di un dio minore
Presenti in diverse nazioni della Penisola Araba, i bidūn sono particolarmente numerosi in Kuwait, dove sarebbero in circa 100000 su una popolazione totale di 2,9 milioni di abitanti. In linea di massima, i ‘senza nazionalità’ kuwaitiani rientrano in una delle seguenti categorie: discendenti di beduini che non fecero domanda o non avevano i documenti necessari per l’ottenimento della cittadinanza all’indipendenza dell’emirato dal Regno Unito; persone recrutate dalle Forze Armate del Paese durante gli anni Settanta e poi stanziatesi definitivamente in Kuwait con la famiglia; figli di madre kuwaitiana e padre straniero o privo di cittadinanza.
La storia dei bidūn ha inizio con la Nationality Law del 1959, quando le autorità kuwaitiane, in vista dell’indipendenza dalla Gran Bretagna ottenuta nel 1961, tentarono di stabilire chi fossero i soggetti aventi diritto di cittadinanza in una regione che aveva assistito a un rapido inurbamento in seguito alla scoperta del petrolio negli anni Trenta senza che il nomadismo beduino venisse completamente meno. In un contesto di frontiere fluide in mezzo al deserto, furono proprio i beduini, spesso analfabeti e privi di qualsivoglia documento, a ignorare l’importanza di ottenere la cittadinanza kuwaitiana o a non potere dimostrare di averne diritto.
A questa prima generazione di bidūn, si è andata ad aggiungere l’ondata di immigrati provenienti dall’Iraq in seguito al boom petrolifero degli anni Settanta e al conflitto tra Baghdad e Teheran. Tra questi, molti rinunciarono alla cittadinanza irachena e si autodichiararono bidūn al fine di poter essere arruolati nell’esercito e nella polizia kuwaitiani e beneficiare cosi dei vantaggi economici e sociali da cio derivanti : intorno alla metà degli anni Ottanta, le forze armate dell’emirato erano costituite per circa l’80% da ‘senza nazionalità’.
Le conseguenze dell’essere un bidūn
Il governo del Kuwait considera i bidūn senza nazionalità, pur asserendo che la maggioranza di loro detiene la cittadinanza di un altro Paese ma abbia tentato di ‘infiltrarsi’ nell’emirato intriso di greggio. Se per un certo periodo il loro status è stato simile a quello dei cittadini kuwaitiani, nel 1986 una nuova normativa trasformò i bidūn da ‘residenti senza nazionalità’ a ‘residenti irregolari’. Questo passaggio di categoria non è stato una semplice questione burocratica, bensì l’inizio di un calvario per i bidūn. Il godimento negato del diritto alla cittadinanza e la conseguente mancanza di documenti d’identificazione, infatti, comportano la difficoltà di accesso ai servizi pubblici, dal sistema sanitario all’istruzione, e nel trovare un lavoro, per non parlare dell’impossibilità di uscire dal Paese senza un passaporto.
Della triste vicenda dei bidūn si sono interessate ONG per la tutela e l’implementazione dei diritti umani quali Human Rights Watch, e solidarietà è stata mostrata anche dai cittadini kuwaitiani. La risposta del governo dell’emirato è stata la parziale apertura del settore pubblico all’impiego di ‘senza nazionalità’ e la concessione di certificati di nascita, morte e matrimonio. Certo è che il nòcciolo della questione, ovvero la negazione della cittadinanza, è ancora irrisolto. Neppure l’istituzione di un organo governativo comunemente noto come ‘Commissione bidūn’ (ufficialmente battezzato ‘Sistema centrale per la risoluzione della condizione dei residenti irregolari’) ha cambiato granché la situazione, visto che delle 106000 domande presentate per l’ottenimento della cittadinanza kuwaitiana solo 34000 sono state prese in considerazione come in possesso dei requisiti necessari.
L’espediente comoriano
Le proteste pacifiche dei bidūn, spesso e volentieri rese violente dall’intervento della polizia, hanno spinto il governo kuwaitiano a trovare una risposta quantomeno originale alle domande dei ‘senza nazionalità’: comprare loro la cittadinanza delle Isole Comore.
Le Isole Comore sono un arcipelago al largo del Mozambico divenuto indipendente dalla Francia nel 1974. Da allora, la vita politica delle quattro isole principali e delle altre isolette comoriane è stata segnata da una ventina di colpi di Stato ed elezioni dalla regolarità dubbia. Economicamente, poi, circa la metà della popolazione (un totale di circa 770000 anime) vive in povertà, traendo il proprio sostentamento dal commercio di vaniglia e di chiodi di garofano e da un settore turistico in progressivo sviluppo.
Quando nel 2014 l’allora Ministro degli Interni kuwaitiano, il Generale Mazen al-Jarrah, annunciò la compravendita, il clamore fu grande soprattutto tra le organizzazioni non governative. Said Boumedoha, vicedirettore del programma di Amnesty International per il Medio Oriente e il Nordafrica, affermò sdegnato che “invece di giocare con la vita e il futuro della gente, le autorità kuwaitiane devono trovare una soluzione definitiva a questo problema assicurando a tutti I bidūn l’accesso a una procedura equa, immediata ed indipendente per richiedere la cittadinanza.” La cooperazione kuwaitiano-comoriana apparve immediatamente come win-win: l’arcipelago nell’Oceano Indiano avrebbe intascato una bella somma, mentre l’emirato del Golfo si sarebbe potuto facilmente disfare di un cittadino ‘neo-comoriano’ in caso fosse fonte di fastidi. Non che l’idea fosse nuova, anzi. Già nel 2012 gli Emirati Arabi Uniti, dove secondo le stime ufficiali I bidūn sono 10000, avevano versato 200 milioni di dollari alle autorità di Moroni al fine ottenere per I propri ‘senza nazionalità’ la mai così ambita cittadinanza comoriana.
Anche se di un paese povero di cui non avevano mai sentito parlare, molti bidūn avevano sperato nel sogno della tanto agognata cittadinanza. Una doccia fredda, quindi, è stata la dichiarazione del 19 giugno scorso dello sceicco Sabah Khaled Al-Sabah, Ministro degli Esteri kuwaitiano: l’accordo con le Comore non ci sarà, si trattava solamente di voci di corridoio.
A quanto pare, quindi, dei 10 milioni di ‘senza nazionalità’ calcolati dall’UNHCR nel mondo faranno parte ancora per molto anche i bidūn kuwaitiani mancati, con buona pace dei sogni milionari dei politici delle Comore.
Presenti in diverse nazioni della Penisola Araba, i bidūn sono particolarmente numerosi in Kuwait, dove sarebbero in circa 100000 su una popolazione totale di 2,9 milioni di abitanti. In linea di massima, i ‘senza nazionalità’ kuwaitiani rientrano in una delle seguenti categorie: discendenti di beduini che non fecero domanda o non avevano i documenti necessari per l’ottenimento della cittadinanza all’indipendenza dell’emirato dal Regno Unito; persone recrutate dalle Forze Armate del Paese durante gli anni Settanta e poi stanziatesi definitivamente in Kuwait con la famiglia; figli di madre kuwaitiana e padre straniero o privo di cittadinanza.
La storia dei bidūn ha inizio con la Nationality Law del 1959, quando le autorità kuwaitiane, in vista dell’indipendenza dalla Gran Bretagna ottenuta nel 1961, tentarono di stabilire chi fossero i soggetti aventi diritto di cittadinanza in una regione che aveva assistito a un rapido inurbamento in seguito alla scoperta del petrolio negli anni Trenta senza che il nomadismo beduino venisse completamente meno. In un contesto di frontiere fluide in mezzo al deserto, furono proprio i beduini, spesso analfabeti e privi di qualsivoglia documento, a ignorare l’importanza di ottenere la cittadinanza kuwaitiana o a non potere dimostrare di averne diritto.
A questa prima generazione di bidūn, si è andata ad aggiungere l’ondata di immigrati provenienti dall’Iraq in seguito al boom petrolifero degli anni Settanta e al conflitto tra Baghdad e Teheran. Tra questi, molti rinunciarono alla cittadinanza irachena e si autodichiararono bidūn al fine di poter essere arruolati nell’esercito e nella polizia kuwaitiani e beneficiare cosi dei vantaggi economici e sociali da cio derivanti : intorno alla metà degli anni Ottanta, le forze armate dell’emirato erano costituite per circa l’80% da ‘senza nazionalità’.