
L’Accademia cinese di scienze sociali ha fatto i conti in tasca ai lavoratori cinesi e al governo stesso. Si tratta di calcoli e previsioni che hanno a che fare con quel processo di urbanizzazione iniziato molti anni fa, che ha creato le megalopoli cinesi, ha trasformato la maggioranza della popolazione cinese in popolazione urbana (per la prima volta nella storia con il censimento del 2011) e si appresta ora al suo secondo – storico – passaggio.

Quest’ultima fase che dovrebbe spostare entro il 2025 altre centinaia di milioni di persone dalle campagne alle città di seconda e terza fascia (tanto che si parla di «urbanizzazione delle città medie», ovvero chengzhenhua, da non confondere con quella «classica» per la quale i cinesi usano proprio un’altra parola, ossia chengshihua) vorrebbe però essere effettuata senza gli altissimi costi sociali pagati dai cosiddetti lavoratori migranti, ovvero quegli abitanti delle zone rurali che diventano «quasi» cittadini. «Quasi» perché il sistema dell’hukou, il permesso di residenza, che vincola i diritti del welfare al luogo di origine, ha fatto si che il lavoratore, nei luoghi in cui si recava a vivere e lavorare, finiva per spendere tutto in servizi sociali.
Come sostengono i professori dell’accademia di scienze sociali, i lavoratori migranti guadagnano in media solo 2049 yuan al mese (meno di 300 euro), ma hanno bisogno di pagare circa 18000 yuan all’anno pro capite per essere in grado di vivere in città ed altri 100000 yuan, in media per l’alloggio. Il risultato? Un’economia che ha bisogno di sviluppare il mercato interno rischia di avere una larga fetta della popolazione che non può consumare.
Per questo al vaglio del governo ci sono diversi piani, compreso quello uscito dall’Accademia di scienze sociali che prevede un costo piuttosto alto dell’urbanizzazione: 650 miliardi di yuan (106 miliardi di dollari) all’anno, l’equivalente del 5,5 per cento del gettito fiscale dello scorso anno.
La CASS ha riportato che la cifra si basa sul presupposto che 25 milioni di persone l’anno si stabiliscano nelle città e che il governo paghi per fare in modo che godano degli stessi benefici dei residenti urbani in termini di sanità, alloggi e scuole. Wei Houkai ricercatore presso la CASS in una conferenza stampa ha dichiarato che «il più grande ostacolo per trasformare i lavoratori migranti rurali in cittadini urbani è quello dei costi: per raggiungere la parità di trattamento potremmo dover attendere fino al 2025». E spendere parecchio.
Per Li Keqiang, i cui pilastri economici prevedono l’assenza di stimoli statali, un nuovo e importante grattacapo: le riforme strutturali costano. In epoca di rallentamento – inoltre – i costi non sono solo economici, ma rischiano di essere soprattutto sociali.
L’Accademia cinese di scienze sociali ha fatto i conti in tasca ai lavoratori cinesi e al governo stesso. Si tratta di calcoli e previsioni che hanno a che fare con quel processo di urbanizzazione iniziato molti anni fa, che ha creato le megalopoli cinesi, ha trasformato la maggioranza della popolazione cinese in popolazione urbana (per la prima volta nella storia con il censimento del 2011) e si appresta ora al suo secondo – storico – passaggio.