East parla con John Peet, Europe Editor dell’Economist.
John Peet è da 27 anni uno degli uomini che decide come The Economist vede il mondo.
Europe Editor della testata dal 2003, è stato anche Business Editor, corrispondente da Bruxelles, Executive Editor, Surveys Editor, corrispondente per la finanza, corrispondente da Washington e corrispondente per la Gran Bretagna.
The Economist sostiene il progetto dell’unificazione europea fin dall’inizio, sebbene a Bruxelles – dove a volte scambiano le critiche per ostilità – non sempre i reportage della rivista vengono visti sotto questa luce.
Oggi, secondo Peet: “Il progetto europeo sta vivendo uno dei momenti più difficili da quando ha mosso i primi passi”. “L’euroscetticismo britannico sembra aver contagiato il continente. C’è ancora chi crede in un’unione più forte – forse una qualche forma di confederazione – ma la fedeltà primaria è sempre verso il proprio paese. Ho l’impressione infatti che oggi questo genere di sentimenti prevalga più di dieci anni fa”.
“L’Europa ha un problema di leadership, anche se non necessariamente a livello nazionale. Angela Merkel è una leader. A livello Ue, Jacques Delors è stato forse l’ultimo in qualche modo capace di ‘fissare l’agenda’, di dare impulso al progetto”.
“Non è una questione di debolezza individuale. Il fatto è che il gioco è tornato in mano ai governi nazionali. Poco oggi viene proposto direttamente da Bruxelles”.
“Per quanto riguarda lo sviluppo e l’esecuzione di politiche condivise verso l’esterno, ci vorrà del tempo prima che l’Europa riesca a presentare un fronte unito, ma emergono interessi comuni in materia di politica estera, sicurezza e difesa”. “Paradossalmente, l’attuale debolezza economica europea favorisce lo sviluppo di un apparato difensivo unificato, perché è tanto più efficiente in termini di costo”.
“Lo scontro con Putin dimostra che un’Europa compatta affronta meglio i problemi oltre i propri confini, ma l’unificazione degli interessi strategici sarà un processo molto lento. Gli interessi nazionali continueranno a tornare a galla”.
È convinto che un ulteriore allargamento della Ue non è più in agenda: “Due crisi, la prima con l’euro la seconda in Ucraina, hanno arrestato per ora l’espansione territoriale della Ue – nei Balcani Occidentali per esempio. A est, per la Moldavia e la Turchia, ci vorrà ancora una decina di anni”.
Peet giudica complessivamente bene la moneta unica. “L’euro in sé è piuttosto forte nel mondo e i dubbi sulla sua sopravvivenza sono ormai alle spalle, ma di qui a dire che la crisi dell’Eurozona è conclusa ce ne passa. Ci vorranno anni di correzione per riallineare le economie prima che l’euro possa veramente ritagliarsi il ruolo di valuta di riserva, come il dollaro Usa”.
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“L’Europa ha un problema di leadership, anche se non necessariamente a livello nazionale. Angela Merkel è una leader. A livello Ue, Jacques Delors è stato forse l’ultimo in qualche modo capace di ‘fissare l’agenda’, di dare impulso al progetto”. “Non è una questione di debolezza individuale. Il fatto è che il gioco è tornato in mano ai governi nazionali. Poco oggi viene proposto direttamente da Bruxelles”. “Per quanto riguarda lo sviluppo e l’esecuzione di politiche condivise verso l’esterno, ci vorrà del tempo prima che l’Europa riesca a presentare un fronte unito, ma emergono interessi comuni in materia di politica estera, sicurezza e difesa”. “Paradossalmente, l’attuale debolezza economica europea favorisce lo sviluppo di un apparato difensivo unificato, perché è tanto più efficiente in termini di costo”. “Lo scontro con Putin dimostra che un’Europa compatta affronta meglio i problemi oltre i propri confini, ma l’unificazione degli interessi strategici sarà un processo molto lento. Gli interessi nazionali continueranno a tornare a galla”. È convinto che un ulteriore allargamento della Ue non è più in agenda: “Due crisi, la prima con l’euro la seconda in Ucraina, hanno arrestato per ora l’espansione territoriale della Ue – nei Balcani Occidentali per esempio. A est, per la Moldavia e la Turchia, ci vorrà ancora una decina di anni”. Peet giudica complessivamente bene la moneta unica. “L’euro in sé è piuttosto forte nel mondo e i dubbi sulla sua sopravvivenza sono ormai alle spalle, ma di qui a dire che la crisi dell’Eurozona è conclusa ce ne passa. Ci vorranno anni di correzione per riallineare le economie prima che l’euro possa veramente ritagliarsi il ruolo di valuta di riserva, come il dollaro Usa”. “La feroce crisi economica che affligge l’Europa solleva molti dubbi. La questione principale è far ripartire l’economia. Sia Italia che Francia finora non ci sono riuscite”. Per quanto concerne lo sviluppo di una vera “identità” europea, la crisi ucraina ha cambiato le carte in tavola. Vedere dei dimostranti scendere in strada, talvolta a rischio della vita, perché vogliono diventare parte della Ue, ha posto la questione sotto una diversa luce per gli Europei, chiamati – almeno potenzialmente – ad affrontare dei disagi per sostenere l’ideale. La recente firma di un’intesa tra Russia e Cina per la fornitura di gas naturale siberiano ai Cinesi sottolinea la gravità della minaccia energetica per l’Europa se non si adegua all’espansionismo russo nel Caucaso. Peet pensa che: “L’accordo sul gas tra Russia e Cina aumenta solo molto marginalmente il rischio di un inverno europeo ‘al freddo’. Per il momento i Russi non hanno nessun altro a cui vendere il loro gas”. “Comunque per Putin è una buona idea. Russia e Cina hanno interessi comuni, anche se l’amore tra i due paesi non si spreca. Ma i rapporti Russia-Europa potrebbero non peggiorare oltre. Forti interessi le uniscono e potrebbero perfino crescere nel tempo”. “Mi sorprenderei se vi fossero ulteriori annessioni”. Il nuovo spirito espansionista russo ha costretto anche gli Usa a riconsiderare il ruolo europeo. “L’interesse americano nei confronti dell’Europa è scemato con la riduzione del suo peso geopolitico, ma la situazione russa e l’ovvia necessità di politiche economiche condivise potrebbero cambiare le cose. Penso di aver colto un rinnovato interesse negli Usa verso l’Europa nel corso degli ultimi due anni. L’America non ha ancora abbandonato la Ue, e gli Europei stanno rendendosi conto che hanno bisogno dell’America”. Mentre forze esterne, quali le ambizioni russe e le politiche economiche americane, potrebbero nei fatti favorire l’unificazione europea, l’unità all’interno di alcuni stati membri della Ue sembra si stia lentamente dissolvendo. “La secessione adesso è un’idea più ‘abbordabile’ di prima, ma vale la pena rilevare che sia la Scozia che la Catalogna prevedono di rimanere all’interno della Ue anche se si separano dai paesi di cui ora fanno parte”. “Per la riuscita dei due progetti secessionisti, penso che sia ancora tutto da vedere. Man mano che il voto referendario si avvicina, le persone cominceranno a domandarsi se il salto nel buio richiesto non presenti più incognite del rimanere dove stanno”. “Lo stesso vale per le pulsioni nel Regno Unito verso un abbandono della Ue. C’è preoccupazione verso ciò che Bruxelles sta facendo alla nostra industria e alla City, ma penso che alla fine vedremo qualcosa di simile a quello che successe nel 1975, quando il Paese votò l’adesione al progetto europeo. Mi aspetterei di veder emergere la percezione che i rischi insiti nell’uscire siano maggiori dei potenziali benefici nel rimanere”.
East parla con John Peet, Europe Editor dell’Economist.