I nuovi equilibri internazionali si decidono nell’Oceano Indiano
Il 5 marzo il nuovo governo dello Sri-Lanka ha ordinato l'interruzione dei lavori per la realizzazione del progetto “Colombo Port City”, che consiste nella costruzione di strade, appartamenti, uffici, alberghi di lusso, campi da golf e di una pista di Formula 1 su un isolotto delle dimensioni del principato di Monaco, non distante dalla capitale srilankese.

Il 5 marzo il nuovo governo dello Sri-Lanka ha ordinato l’interruzione dei lavori per la realizzazione del progetto “Colombo Port City”, che consiste nella costruzione di strade, appartamenti, uffici, alberghi di lusso, campi da golf e di una pista di Formula 1 su un isolotto delle dimensioni del principato di Monaco, non distante dalla capitale srilankese.
Il mega-progetto è finanziato e realizzato per la gran parte dai Cinesi, i quali hanno corrisposto al governo di Colombo un prestito iniziale del valore di 1,4 miliardi di dollari, preannunciando futuri investimenti per circa 13 miliardi di dollari e la creazione di un totale di quasi 90.000 posti di lavoro. La decisione dello Sri-Lanka di interrompere i lavori è dovuta all’esigenza di rivedere i termini dell’accordo, ritenuti svantaggiosi per il Paese, e di indagare eventuali episodi di corruzione.
Nell’ultimo decennio, Pechino è stato il principale partner economico di Colombo. Complice il crescente isolamento internazionale in cui era venuto a trovarsi lo Sri-Lanka a causa delle politiche dell’ex-Presidente Mahinda Rajapaksa, la Cina ha saputo estendere la propria influenza sul Paese soprattutto grazie ai finanziamenti elargiti per la costruzione di importanti infrastrutture stradali, marittime (in particolare i porti di Colombo e Hambantota) e aeroportuali. Tuttavia, se nell’immediato ciò ha conferito legittimità al precedente esecutivo e favorito la crescita economica dello Sri-Lanka, il Paese si ritrova adesso a dover rimborsare i prestiti ricevuti negli ultimi anni, in molti casi elargiti a tassi di interesse molto elevati. Si stima che già da quest’anno circa 1/4 del bilancio statale dello Sri-Lanka servirà a coprire questa voce.
L’obiettivo primario del neo-eletto Presidente Maithripala Sirisena (ex-ministro di Rajapaksa, successivamente passato all’opposizione) è dunque quello di rinegoziare i termini dei precedenti accordi, ottenendo condizioni più vantaggiose per il suo Paese. Sembra difficile, infatti, che lo Sri-Lanka possa rinunciare ai legami con la Cina, troppo importanti dal punto di vista economico. Piuttosto, l’obiettivo del nuovo governo sembra essere quello di sfruttare a suo vantaggio la crescente competizione tra Pechino e Nuova Delhi per l’influenza nell’Oceano Indiano.
Poche settimane dopo la sua affermazione elettorale, Sirisena ha effettuato la sua prima visita ufficiale da capo dello Stato proprio in India, dove ha siglato una serie di importanti accordi con il governo di Nuova Delhi (tra i quali uno riguardante la cooperazione in ambito nucleare), rinsaldando un rapporto fortemente deterioratosi in questi ultimi anni, che aveva toccato il suo punto più basso lo scorso anno, quando due sommergibili nucleari cinesi avevano attraccato al porto di Colombo.
La visita verrà reciprocata proprio in questi giorni da Narendra Modi (la prima di un capo di Stato indiano da oltre 25 anni), impegnato in un mini-tour che coinvolge anche Seychelles e Mauritius (ma non le Maldive, a causa dell’attuale instabilità politica), realtà tornate al centro delle politiche regionali del governo di Nuova Delhi per contrastare l’espansione marittima cinese.
Le vicende srilankesi vanno dunque lette nell’ottica della competizione tra India e Cina per la supremazia sulle acque dell’Oceano Indiano. Da una parte, il progetto cinese “New Maritime Silk Road”, erede della strategia ribattezzata “collana di perle”, che aveva come obiettivo la costruzione di porti in acque profonde che dotassero la Marina cinese di basi utilizzabili in missioni distanti dal territorio cinese (è tuttora questo uno dei principali gap di Pechino rispetto agli Stati Uniti) e offrissero alla Cina vie alternative al congestionato Stretto di Malacca per l’importazione di risorse energetiche. Dall’altra, la strategia indiana “Act east”, finalizzata in qualche modo a riconsegnare a Nuova Delhi il pieno controllo del suo “estero vicino”. Piano che ha nel mini-tour di Modi una delle sue tappe più importanti.
Sullo sfondo, una più ampia riconfigurazione degli equilibri internazionali. Al momento, India e Cina appaiono inclini a intensificare ulteriormente i rapporti commerciali bilaterali e a tenere sotto controllo eventuali tensioni derivanti dalle dispute territoriali che li vedono coinvolti. Nel lungo periodo, tuttavia, gli interessi confliggenti potrebbero via via trovare un freno sempre meno efficace nella necessità, oggi impellente, di concentrare ogni risorsa nello sviluppo economico.
Sembra esserne consapevole Narendra Modi, più spregiudicato dei suoi predecessori a cedere alle avances degli Stati Uniti, impegnati da tempo nella realizzazione del cosiddetto “Pivot Asia”, che consiste, in buona sostanza, nella creazione di una fitta rete di alleanze finalizzata a contenere l’espansione marittima cinese. La visita in India di Barack Obama, lo scorso gennaio, ha per molti segnato l’avvio di una nuova fase nei rapporti bilaterali. Tra i più significativi risultati della missione indiana del capo di Stato americano la “Joint Strategic Vision for the Asia-Pacific”, un documento che fa dell’India una componente essenziale nella strategia USA di contenimento delle ambizioni marittime di Pechino. D’altronde, i rapporti bilaterali tra Cina e India sono tradizionalmente caratterizzati da una profonda diffidenza, sfociata in alcuni casi in aperta ostilità.
L’alleanza con Washington serve a Nuova Delhi per compensare il gap sempre più profondo che lo separa da Pechino dal punto di vista militare. Basti pensare chenel 2015, nonostante il rallentamento economico, la Cina destinerà al settore della Difesa circa 145 miliardi di dollari, un centinaio in più rispetto a quelli previsti dalla legge di bilancio del suo principale rivale regionale. D’altronde, pur non essendo sinora riuscito a soddisfare le grandi aspettative riposte in esso soprattutto dalla Casa Bianca, quello tra India e Stati Uniti è un rapporto che si è progressivamente consolidato negli ultimi anni, in particolare durante la presidenza di George W. Bush. Nel 2014, ad esempio, gli Stati Uniti hanno scavalcato la Russia come principale esportatore di armi ed equipaggiamenti militari verso il mercato indiano, spingendo il Cremlino a porre fine al suo decennale embargo sulle esportazioni di materiale bellico verso il Pakistan.
E proprio il Pakistan rappresenta uno dei principali perni della nuova via marittima della seta immaginata da Pechino. Secondo quanto dichiarato dalle autorità di Islamabad, dovrebbe essere operativo a partire da maggio il porto di Gwadar, realizzato grazie ai finanziamenti cinesi. Sebbene si tratti di un porto commerciale, sono in molti a temere che esso possa in futuro essere utilizzato anche dalla Marina militare cinese. Gwadar rappresenta il terminale del cosiddetto “Corridoio economico Cina-Pakistan”, mega-progetto dal valore di circa 45 miliardi di dollari, che servirà a collegare il porto pakistano alla provincia occidentale cinese di Kashgar, attraverso la realizzazione di importanti infrastrutture nei settori energetico e dei trasporti.
Con il ritiro delle truppe dall’Afghanistan, il Pakistan tornerà, con molta probabilità, a ricoprire un ruolo di secondo piano nelle strategie di Washington, mentre è prevedibile che esso assuma una crescente centralità nei progetti di Pechino, il cui obiettivo è quello di tenere l’India impegnata ancora a lungo sul fronte pakistano, che ha in questi decenni assorbito ingenti risorse, distraendo le autorità di Nuova Delhi da altri obiettivi.
Nel 2014, il Prodotto Interno Lordo a parità di potere d’acquisto della Cina ha superato quello degli Stati Uniti. Secondo questo stesso criterio, l’India è già la terza economia più grande al mondo, avendo di recente superato quella giapponese. I numeri, dunque, ci dicono che gli equilibri internazionali stanno mutando rapidamente e che il multipolarismo è oramai una realtà alla quale, però, le istituzioni internazionali deputate a garantirne l’ordine non hanno saputo sinora adattarsi, con tutti i rischi che ne conseguono.
I nuovi equilibri internazionali si decideranno, dunque, nell’Oceano indiano e gli eventi srilankesi rappresentano a questo proposito un punto di osservazione privilegiato, una piccola finestra sul mondo che verrà.
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