La Commissione del Piano indiana, l’organo governativo incaricato di stilare i piani quinquennali, ha annunciato un grande traguardo raggiunto dal governo in carica: i poveri sono diminuiti! Ma c’è il trucco.

I dati del governo indicano che rispetto al 2004-05, quando gli indiani che vivevano al di sotto della soglia di povertà erano il 37,2 per cento, nel 2009-10 erano “solo” il 29,8 per cento, mentre quest’anno si attestano alla cifra record del 22 per cento.
In numeri assoluti, oggi in India ci sono 269,3 milioni di poveri, 216,5 dei quali vivono nelle campagne.
Per la coalizione di governo United Progressive Alliance (Upa), guidata dall’Indian National Congress (Inc) di Sonia Gandhi, si tratta di un ottimo biglietto da visita per presentarsi alle prossime elezioni nazionali del 2014 come l’esecutivo dalla parte degli ultimi, i Buoni.
Ma il conteggio dei poveri in India è un’arte fatta di effetti ottici ed ingegnosi chiaroscuri.
Prima di tutto, chi è povero in India? Il criterio adottato dal governo è la cosiddetta metodologia Tendulkar, che fissa due distinte soglie di povertà con caratteristiche indiane: una per l’India urbana e una per quella rurale.
Secondo questo schema, il cittadino indiano è considerato povero se guadagna meno di 28,65 rupie al giorno (40 centesimi di euro), mentre nelle aree rurali – dove vive oltre il 65 per cento della popolazione – la soglia si abbassa a 22,42 rupie al giorno (30 centesimi di euro).
I detrattori del metodo sostengono che le soglie individuate siano troppo basse e, senza alcun metodo scientifico a supporto del mio giudizio, vivendo nell’India rurale convengo che no, anche con 30 rupie al giorno, nella campagna indiana non si mangia. Figurarsi in città.
Il governo riconosce la debolezza del metodo utilizzato e aveva annunciato la formazione di un comitato scientifico per stilare una nuova scala di valori più realistica, che però non è ancora stata ultimata.
Ufficialmente però, il risultato della Upa viene difeso strenuamente: al di là delle diversità di opinioni sul metodo di rilevazione della povertà, sta di fatto che i poveri in India sono diminuiti. E questa è una buona notizia solo a metà.
È interessante notare che mentre la diminuzione della povertà in India è stata lenta ma inesorabile negli ultimi dieci anni, anche la spesa pubblica è aumentata a ritmi forsennati, a causa di politiche del welfare della Upa come il Mahatma Gandhi National Rural Employment Guarantee Act (Mgnrega) del 2005, dove il governo si impegnava a garantire almeno 100 giorni di lavoro pagato (con soldi pubblici) ad ogni lavoratore non specializzato impiegato in progetti di interesse pubblico (strade, canali, ponti…).
Un pacchetto da quasi 70 miliardi di dollari l’anno preso d’assalto dai funzionari locali ed eroso da corruzione e clientelarismo, destino che gli analisti anti-Congress prevedono anche per il National Food Security Bill, altra creatura legislativa fortemente voluta da Sonia Gandhi. La legge per il “diritto al cibo”, una volta passata in parlamento, dovrebbe elargire sussidi governativi per la coltivazione e distribuzione di cibo alle fasce più indigenti: il 67 per cento dell’intera popolazione indiana, 1,2 miliardi di persone (arrotondate per difetto).
Iniziative meritorie ma palliative: pensare che le casse dello stato possano sostituire uno sviluppo economico sano nelle campagne indiane non è naïf, è follia.
La Commissione del Piano indiana, l’organo governativo incaricato di stilare i piani quinquennali, ha annunciato un grande traguardo raggiunto dal governo in carica: i poveri sono diminuiti! Ma c’è il trucco.