Potenzialmente, chi non dovesse uscire di casa se non per impellenti questioni lavorative – come il sottoscritto in caso di interviste non telefoniche – può condurre una noiosissima vita sedentaria senza mai spingersi oltre il balcone di casa.

Per un pigro appartenente alla upper middle class, straniero o indiano fa poca differenza, l’India è davvero il paese dei balocchi. Le frasi “usciamo a fare una passeggiata” o “dai mettiamo la testa fuori e prendiamo una boccata d’aria” per ovvi motivi di sovraffollamento e inquinamento atmosferico in genere sono bandite, in un illusorio senso di preservazione della salute – mentale e fisica – che spinge a barricarsi in casa lasciando il resto del miliardo e duecento milioni di persone fuori.
Me ne sono accorto dopo nemmeno due settimane, prendendo le misure della mia nuova vita da cittadino urbano in India e ritrovandomi a rinunciare a una serie di comfort qui del tutto naturali per chi guadagna abbastanza per essere considerato un benestante locale. Sono in affitto in una bella casa grande, con un numero ridicolo di ventilatori a soffito (otto, di cui quattro in soggiorno e uno sul balcone), due bagni, internet via cavo, frigorifero nuovo di pacca; il tutto ad un prezzo considerato in Italia “irrisorio”, a Delhi “onesto”, nell’India rurale “con quei soldi in sei mesi te la costruisci da zero, una casa, e ci fai pure la piscina se ti va”.
Chi vive in un appartamento del genere qui è una persona che “sta bene”: i miei vicini di casa sono impiegati in multinazionali, professori, famigliole con la parabola satellitare sul tetto e piante decorative sul pianerottolo. E per gente come noi la società indiana ha predisposto un diabolico sistema di annichilimento dell’iniziativa personale, l’azzeramento della minima attività fisica che comporti una vaga idea di fatica per provvedere ai bisogni più elementari necessari alla sopravvivenza. O al mantenimento del lusso.
Come disse la proprietaria di casa di un’amica per convincerla a prendere in affitto la stanza: “Qua attorno c’è tutto quello che vuoi, ti portano tutto. Puoi anche non uscire di casa per sei mesi!”.
Partiamo dall’acqua. In città si usa comprare delle taniche da 20 litri, come quelle che si trovano in alcuni studi medici in Italia, unica garanzia di bere acqua dal sapore opinabile ma non dannosa alla salute. Si prendono accordi la prima volta col negozietto dell’acqua e gli si lasciano una caparra e l’indirizzo; il trasporto a domicilio è compreso nel prezzo. Quando l’acqua finisce si alza il telefono e si avverte, così dal negozietto mandano su un ragazzo con una nuova tanica e si riprende quella vuota. E te lo mandano fin dentro la cucina.
Calorie bruciate nell’approvvigionamento acqua: 0. Calorie non smaltite: n elevato a n.
Stesso discorso vale per la lavanderia (5 kg di vestiti per 3 euro, con ammorbidente). Dopo aver fatto un primo sforzo di portare i panni sporchi, si innesca un circolo virtuoso di consegna panni puliti / ritiro panni sporchi direttamente all’uscio del pianerottolo. Un rapporto di mutuo vantaggio tendente all’infinito.
Per la verdura e la frutta è leggermente più complesso. Occorre spingersi fino al balcone, tra le 8 e le 11 di mattina, e controllare il traffico di carretti ortofrutticoli che, per non passare inosservati e inascoltati, sono soliti urlare i propri prodotti dalla strada. Le ordinazioni si fanno a voce dal balcone e a quel punto si può scegliere se scendere – o mandare una delle didi giù – a prendere la merce o – opzione molto diffusa nel quartiere – calare con la corda un cestino.
Per tutto il resto (riso, olio, sigarette, dolciumi, snack, prodotti per la casa…) è sufficiente accordarsi con uno dei kirana shop – le nostre vecchie drogherie – che saranno entusiasti di delegare a un giovane indiano non scolarizzato l’onere di realizzare i nostri desideri consumistici.
Riflettevo su questa mancanza di moto dopo che un amico mi ha detto che in India l’incidenza di obesità infantile è altissima nelle classi “alte” (20 per cento), mentre nei paesi occidentali è più alta ma diffusa nelle classi “basse” (in Italia 1 su 3). Ho pensato che l’incidenza di obesità anche nelle madri e mogli indiane – tradizionalmente delegate ad occuparsi direttamente della casa o, nel migliore dei casi, al coordinamento delle didi – ad occhio deve essere piuttosto alta nella classe medio alta e, con ogni probabilità, ci deve essere un rapporto consequenziale tra la tutela dell’incolumità femminile e l’incremento esponenziale dell’adipe.
Ci sono tutti gli estremi per teorizzare un indice di benessere indiano inedito, un coefficiente Sp/Kg (Sicurezza Percepita al chilogrammo). Se fossi un dottorando ci penserei.
Potenzialmente, chi non dovesse uscire di casa se non per impellenti questioni lavorative – come il sottoscritto in caso di interviste non telefoniche – può condurre una noiosissima vita sedentaria senza mai spingersi oltre il balcone di casa.