2014: che anno è stato nel mondo?
Il 2014 sta per finire, che anno è stato nel mondo?


Giuseppe Scognamiglio, nato a Napoli il 16 luglio 1963. Diplomatico, Manager, Giornalista, Professore. Direttore della rivista eastwest
Il 2014 sta per finire, che anno è stato nel mondo?
1) Le prime elezioni di un Presidente della Commissione Europea sposteranno gli equilibri della governance: forse, alla fine del quinquennio, avremo un solo Presidente UE!
Per la prima volta nella storia del processo di integrazione, la scelta del Presidente della Commissione europea è stata dettata dai risultati delle elezioni del Parlamento europeo. Applicando una norma del Trattato di Lisbona, il Consiglio europeo ha, infatti, nominato Jean-Claude Juncker, candidato del Partito popolare europeo vincitore delle elezioni. Questa novità apre ad un possibile cambiamento negli equilibri istituzionali della UE, ossia ad un rafforzamento: a) del rapporto fiduciario tra Parlamento e Commissione – e, quindi, del peso di queste due istituzioni comunitarie rispetto al Consiglio europeo; b) del ruolo del Presidente della Commissione, a fronte di un’acquisita maggiore autonomia di questi rispetto al Consiglio europeo e di una maggiore autorevolezza dello stesso nella guida del collegio dei Commissari; c) della Commissione stessa, la quale sembra intenzionata a tornare ad essere il motore politico del processo decisionale europeo.
2) Nuova Commissione con 7 Vice Presidenti, i veri Ministri. Gli altri Commissari sono relegati al ruolo di Vice Ministri…
La Commissione disegnata dal Presidente Juncker ha assunto un assetto inedito, con la individuazione di 7 Vice-Presidenti, dotati, in particolare, del potere di bloccare le iniziative degli altri Commissari “semplici”. Il rapporto tra i due “livelli” sarà giocato non su base gerarchica, ma di coordinamento politico, che dia meno peso, rispetto al passato, alle nazionalità di ciascun Commissario, a favore di un’azione più concentrata sull’interesse comune europeo.
3) Le crisi internazionali – in testa Siria e Ucraina – impongono una UE protagonista. Gli Usa non ci sono più…
Ucraina: Ad un anno esatto dall’inizio delle rivolte di EuroMaidan – che hanno portato alla destituzione, lo scorso febbraio, dell’allora presidente Yanukhovic – l’Ucraina si trova ad attraversare un periodo storico delicatissimo, sia dal punto di vista politico, sia sotto il profilo economico e strategico. In questo contesto, l’allontanamento del paese dal protettorato russo e la ratifica, lo scorso settembre, dell’Accordo di Associazione con l’Unione europea hanno rappresentato un evento simbolico per la politica estera di Kiev che, a pochi giorni dall’instaurazione della nuova coalizione di governo, deve rimboccarsi le maniche per ristabilire la pace nel Donbas, ma soprattutto per apportare quelle riforme necessarie al risanamento sociale ed economico interno. Dall’altra parte però, la scelta dell’attuale Presidente Poroshenko di intraprendere un cammino verso ovest e l’istituzione di una coalizione filo-europeista alla guida del paese impongono all’Unione Europea un ruolo più protagonico, non solo nei confronti di Kiev e della sua amministrazione, ma soprattutto nella tutela dell’integrità territoriale come principio basilare delle relazioni tra gli attori internazionali. Nel primo caso infatti, l’Unione europea è chiamata a dare un sostegno più tecnico al governo centrale, in primis nell’attuazione di quell’insieme di riforme volte a migliorare il settore energetico, il contesto operativo e l’amministrazione statale. Nel secondo caso invece, Bruxelles è chiamata a garantire a Kiev un supporto puramente politico, agendo come un unico attore e favorendo il dialogo come strumento di risoluzione delle controversie nei confronti di Mosca, con la quale il rispetto dell’integrità territoriale dell’Ucraina resta un punto centrale dei negoziati. Su questo punto infatti, è importante evidenziare che l’obiettivo centrale non deve essere in nessun caso quello di costringere il Paese a scegliere tra Est e Ovest, ma piuttosto quello di garantire la sua sovranità quale Stato democratico.
Movimenti jihadisti: Secondo i dati più recenti, sono state più di 5mila le vittime di attacchi jihadisti in tutto il mondo nel solo mese di novembre (2014) e nel mirino della furia jihadista sono finiti soprattutto civili, mentre il gruppo più sanguinario è stato lo Stato Islamico del Califfo Al Baghdadi, che tra l’Iraq e la Siria ha effettuato il maggior numero di attacchi uccidendo 2.206 persone, il 44% del totale (Fonte: BBC e dall’International Centre for the Study of Radicalisation, ICSR, del King College di Londra). Attenzione a non essere concentrati solo sugli aspetti militari della lotta all’estremismo islamico; bisogna capire perchè le nostre democrazie occidentali non sono più attrattive per tremila giovani europei che si uniscono al sogno del Califfato…
Siria: L’Unione Europea continua ad essere impegnata a contrastare in maniera globale e coordinata la minaccia regionale rappresentata dal terrorismo e dall’estremismo violento nonché ad affrontare l’instabilità e la violenza di fondo che hanno permesso all’ISIS (Stato islamico) e ad altri gruppi terroristici di prendere piede. L‘UE sostiene l’alleanza internazionale, capeggiata dagli Stati Uniti e composta da oltre 60 Stati, per contrastare la minaccia posta dall’ISIS, compresa l’azione militare, nel rispetto del diritto internazionale. In questo contesto, l’azione militare, sebbene necessaria, non è sufficiente per sconfiggere l’ISIS e pertanto l’impegno dell’UE dovrebbe in primo luogo rientrare in un più ampio sforzo che comprende misure nei settori politico/diplomatico, della lotta al terrorismo e al finanziamento del terrorismo, nonché nei settori umanitario e della comunicazione. Considerato che gli sforzi internazionali per una transizione a guida siriana restano una priorità al fine di mantenere l’unità, la sovranità e l’integrità territoriale del paese, salvaguardandone al tempo stesso il carattere multietnico e multi-religioso, l’UE continuerà a fornire sostegno politico e concreto all’opposizione siriana moderata. Per questo scopo, l’UE rimane determinata a sostenere tutti gli sforzi per una soluzione politica, raggiunta di comune accordo sulla base del comunicato di Ginevra del 30 giugno 2012 e in linea con le pertinenti risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
Tunisia: In seguito alle elezioni politiche di fine ottobre 2014, il 21 dicembre i tunisini sono tornati alle urne per nominare il nuovo Presidente (ha vinto l’anziano leader laico Essebsi), compiendo un importante passo in avanti verso la democrazia. Quattro anni dopo le proteste di piazza che costrinsero Ben Ali e il suo entourage a fuggire in esilio in Arabia Saudita, queste elezioni rappresentano un ulteriore passo importante nel lungo e non semplice percorso di democratizzazione del paese. Infatti, mentre altri Paesi della “primavera araba” come la Libia, la Siria o lo Yemen sono ancora travolti dalle violenze, la Tunisia costituisce un laboratorio aperto di sperimentazione di forme di democrazia inserite in un tessuto culturale islamico. Le principali sfide che il nuovo Governo dovrà affrontare rimangono comunque sostanzialmente inalterate: creazione di posti di lavoro, aumenti degli stipendi, tagli alla spesa pubblica e lotta alla corruzione, oltre che dover fare i conti con l’ascesa nella regione di movimenti jihadisti sempre più galvanizzati dalle vittorie dello Stato Islamico in Siria e Iraq.
Libia: L’Unione europea è preoccupata per la situazione in Libia e per il suo impatto sulla popolazione civile, che mettono a repentaglio la possibilità di realizzare una transizione politica pacifica e si ripercuotono negativamente sul Nord Africa e sulla regione del Sahel, suscitando inquietudine anche in Occidente. L’UE sollecita tutte le parti (i due governi e parlamenti del paese, le milizie e la società civile) per un dialogo nazionale promosso dalle Nazioni Unite, per un cessate il fuoco incondizionato e per la ricostruzione del paese. L’UE è persuasa che questo conflitto non abbia una soluzione militare, ma che solo una soluzione politica possa offrire un percorso sostenibile e contribuire alla pace e alla stabilità in Libia. L’instabilità in Libia rappresenta una minaccia diretta per l’UE, attraverso il terrorismo, la crescente migrazione illegale e il traffico di merci illecite, armi comprese. L’UE continua pertanto a sostenere la Libia in settori quali sicurezza, migrazione, società civile, protezione dei gruppi vulnerabili e promozione dei diritti umani.
Turchia: Fin dall’inizio della crisi siriana, la Turchia ha giocato un ruolo di primo piano nel sostenere i ribelli contro il regime di Assad. Se, da una parte, il paese ha aderito all’alleanza internazionale per combattere l’ISIS, il suo intervento nella regione è condizionato dalla complessa gestione del rapporto con i Curdi, che impatta significativamente su temi di politica interna. Nelle ultime settimane, Erdogan ha comunque consentito l’apertura delle proprie frontiere ai pesmerga iracheni per permettergli di combattere contro lo Stato Islamico. Con riferimento alle crisi regionali, la collaborazione/cooperazione tra l’Unione Europea e la Turchia è visibilmente aumentata, sia perché la Turchia si è resa conto che l’UE rappresenta un’ interlocutore più affidabile (l’instabilità del Medioriente si è accentuata con le primavere arabe) sia perché l’UE ha capito quanto il ruolo della Turchia possa essere importante per risolvere almeno la crisi siriana. Infine, la nuova strategia della Turchia per accelerare il processo di adesione e la nomina dell’ex Ministro dell’Unione Europea come Ministro degli Affari Esteri confermano la determinazione della Turchia per l’adesione. Dal lato suo, l’Unione Europea dovrebbe cogliere questo momento storico (laddove il disimpegno degli Usa è quasi totale) per rilanciare effettivamente i negoziati di adesione con la Turchia, con aperture di nuovi capitoli, e incremento della cooperazione in tutti i campi.
4) I grandi partiti europeisti tengono, l’avanzata euroscettica è solo un fenomeno sociale…
Le elezioni europee che si sono svolte lo scorso maggio hanno coinvolto oltre 400 milioni di elettori, chiamati alle urne per leggere 751 deputati. Dopo le elezioni indiane, quelle europee rappresentano il secondo esercizio di democrazia più importante al mondo, visto che a Bruxelles e Strasburgo si riunisce non solo il secondo Parlamento più grande al mondo ma anche il primo – e attualmente l’unico – parlamento transazionale, i cui membri, provenienti da ben 28 stati, rappresentano oltre 500 milioni di cittadini. Al di là del numero di elettori coinvolti e paesi rappresentati, le elezioni europee del 2014 saranno ricordate per altri due ordini di fattori. Si configurano come le prime elezioni da quando il trattato di Lisbona ha attribuito al Parlamento europeo la possibilità di “eleggere” il presidente della Commissione europea ed anche le prime nella storia delle elezioni europee istituite nel 1979 a far registrare una diminuzione anche se minima nella partecipazione al voto, dal 43% del 2009 al 42.54% del 2014. Anche se molti commentatori hanno descritto queste elezioni come quelle dell’avanzata degli euroscettici, è bene ricordare che, sebbene i partiti definiti “euroscettici” abbiano registrato un incremento di quasi dieci punti percentuali passando dal 20,37% dei voti (156 seggi) del 2009 al 29,55% (222 seggi) di quest’anno, è altrettanto vero come queste elezioni – le prime da quando la crisi economica dell’Eurozona è iniziata – hanno comunque registrato la tenuta dei quattro gruppi di partiti saldamente europeisti (democristiani, socialisti, liberali e verdi). A loro – vale la pena ricordarlo – va oltre il 70% dei voti dei cittadini europei (70,44% dei voti e 529 seggi), segno che gli elettori hanno chiaramente scelto “più e non meno Europa”.
5) La Cina rallenta, l’umbrella revolution di Hong Kong si sgonfia…
La Cina sembra destinata quest’anno a non raggiungere l’obiettivo prefissato del tasso di crescita del 7,5% battendo due record in un colpo solo: sarebbe la prima volta dal 1999 che non si raggiunge l’obiettivo e il tasso di crescita sarebbe il più basso da 24 anni. A questo punto il “7.5% around” declamato dal Premier Li Keqiang durante un suo discorso a giugno scorso era – come sempre accade nei discorsi pubblici cinesi – più che meditato. Il tasso di crescita molto verosimilmente sarà del 7%; stesso target che Pechino si prepara a varare per il 2015. Continua invece senza subire battute d’arresto la campagna anticorruzione nel paese coinvolgendo sempre di più personaggi di primo piano. Zhou Yongkang, ex capo degli apparati di pubblica sicurezza cinese ed ex membro del comitato permanente del Politburo, il vertice del potere cinese, è stato espulso dal PCC ed è stato arrestato. Se la lotta alla corruzione non subisce battute d’arresto, si sgonfia invece la cosiddetta “umbrella revolution” iniziata ad Hong Kong nel corso del 2014. La strategia di lasciare continuare le manifestazioni senza ricercare lo scontro, fino ad arrivare all’insofferenza della popolazione nei confronti dei blocchi, ha funzionato appieno. Anche se la sensazione è che l’appuntamento con lo scontro sia solo rimandato…
6) Il giro di boa della seconda presidenza Obama lancerà la Clinton?
Le elezioni di Mid-term (novembre 2014) negli Stati Uniti hanno consegnato, come era ampiamente previsto – nella sostanza, magari non nei numeri finali – la maggioranza ai Repubblicani in entrambe le Camere. L’enorme astensione – ha votato solo il 36,3% degli aventi diritto – ha sicuramente penalizzato i democratici ma tutto ciò, unito ai più recenti sondaggi in cui l’approvazione del presidente è al 43%, dà il senso di una crisi quasi strutturale del modello americano, in cui l’approvazione presidenziale non fa il paio con i risultati elettorali ed i successi economici non riescono a trainare il partito che siede alla Casa Bianca. Il risultato elettorale nell’immediato porterà ad un copione già visto in passato, ovvero alla sostanziale paralisi nella produzione legislativa e ad uno stallo che terminerà solamente con le prossime elezioni presidenziali del 2016 che, dopo il primo Presidente di colore, potrebbero consegnare la Casa Bianca al primo Presidente donna, anche se la battaglia è ancora lunga, come ha imparato Hillary proprio a sue spese…
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