Il Brasile non è un paese innamorato della terza via. Gli elettori sudamericani, nel corso degli anni e delle elezioni, sono spesso stati abituati a dividersi fra il PT (Partido dos Trabalhadores) e il PSDB (Partido da Social Democracia Brasileira). Dal 1995 sono i partiti che governano il presidenzialismo brasiliano. Un’alternanza che in Italia sarebbe definita come bipolarismo perfetto.

Eppure la tragica morte di Eduardo Campos, ex governatore del Pernambuco e candidato del PSB (Partido Socialista Brasileiro) alla Presidenza della Repubblica scomparso il 13 agosto in un’incidente aereo a Santos, ha aperto nuovi scenari nelle elezioni nazionali.
Campos, ministro della Scienza e della Tecnologia durante il primo mandato di Lula, aveva deciso di intraprendere un nuovo cammino politico, smarcandosi dal governo di sinistra di Dilma e alleandosi, prevalentemente per questioni tecniche con Marina Silva, ex-Ministro dell’Ambiente e già candidata alle elezioni del 2010.
Nei sondaggi effettuati nel corso della propria corsa alla Presidenza, Campos si era sempre attestato in una forbice compresa fra il 7 e il 10%. Un risultato leggermente al di sotto delle aspettative, ma comprensibile se rapportato al peso degli avversari: da una parte la Presidente Dilma Rousseff e dall’altra Aecio Neves, nipote di Tancredo Neves. Al solito, PT contro PSDB.
La svolta, difficile dire se possa essere definitiva, è arrivata con l’ufficializzazione della candidatura di Marina Silva, erede naturale di Campos.
Il PSB – nei giorni dopo la tragedia di Santos, in cui hanno perso la vita altre 6 persone – aveva anche sondato la disponibilità della vedova Renata Campos. L’intenzione, ovviamente, era quella di mitigare le posizioni di Marina, vice-presidente ma non candidata scelta del partito. L’ex senatrice dell’Acre, rimasta fuori dalla corsa alle presidenziali con il proprio movimento Rede Sustentabilidade, aveva raggiunto accordi statali e federali grazie all’amicizia (e il reciproco interesse) con Eduardo Campos.
Il timore era che la morte dell’ex governatore causasse divergenze interne. E invece è successo il contrario: il Brasile si è aperto alla terza via e Marina ha recuperato terreno nei sondaggi. Nell’ultima ricerca IBOPE, commissionata dalla TV Globo e dal quotidiano «O Estado de S. Paulo» (testate notoriamente schierate su posizioni anti-governative), la candidata del PSB sarebbe eletta al secondo turno con il 45% dei voti. Al primo turno, le intenzioni di voto vedono ancora in vantaggio la Rousseff con il 34%; poi Marina Silva al 29% e infine Aécio Neves con il 19%.
Luciana Genro (PSOL) e il Pastor Everaldo (PSC) raccoglierebbero rispettivamente l’1%. Con una destra di Aécio Neves ancora poco incisiva e un’ondata emozionale piuttosto forte, Marina è riuscita nell’intento di aprirsi uno spazio nella corsa a due. Coerente ma flessibile, l’ex senatrice dell’Acre ha una storia di vita da far impallidire perfino l’amatissimo Lula.
Cresciuta in una famiglia modestissima nel Nord del Brasile, è stata collaboratrice domestica e aspirante suora per buona parte dell’adolescenza; si è alfabetizzata a solo 17 anni e tutt’oggi soffre le conseguenze delle intossicazioni da mercurio subite in Amazzonia nel corso dell’infanzia. È una candidata atipica ma perfetta per l’elettorato brasiliano: è un ambientalista attivissima; non rinnega le lotte sociali e i progressi della gestione Lula ed è un’evangelica praticante.
La destra e la stampa anti-governativa, pur di scongiurare un secondo mandato Rousseff e un’eventuale ritorno di Lula nel 2018 che segnerebbe l’egemonia del PT, è pronta a sostenerne blandamente la candidatura. In questo scenario a rimetterci è soprattutto Neves. Marina è apparsa molto sicura nel primo dibattito pubblico fra candidati: adesso sta a lei continuare ad aprirsi la terza via in una politica stretta fra le maglie del bipolarismo.
Il Brasile non è un paese innamorato della terza via. Gli elettori sudamericani, nel corso degli anni e delle elezioni, sono spesso stati abituati a dividersi fra il PT (Partido dos Trabalhadores) e il PSDB (Partido da Social Democracia Brasileira). Dal 1995 sono i partiti che governano il presidenzialismo brasiliano. Un’alternanza che in Italia sarebbe definita come bipolarismo perfetto.