
Mentre un contingente americano entrava in Moldavia per prendere parte a delle esercitazioni, dall’altra parte del Dnestr i soldati russi di stanza in Transnistria sfilavano nel giorno della Vittoria.
Il duplice evento ha scatenato la retorica di entrambe le parti, perfino con risultati involontariamente comici. Mentre il governo moldavo protestava contro la partecipazione dei militari russi a Tiraspol alla parata per il 9 maggio, giorno in cui si celebra la vittoria degli alleati sul nazifascismo durante la Seconda guerra mondiale, Igor Dodon, il leader del partito Socialista moldavo – formazione fortemente filorussa – parlava di occupazione militare della Moldavia.
E non si riferiva al territorio separatista della Transnistria, presidiato da oltre vent’anni dalla 14a armata dell’esercito russo.
Le truppe americane saranno impegnate fino al 20 maggio nell’esercitazione congiunta Dragon Pioneer 2016, un «fattore di destabilizzazione», secondo il ministro degli Esteri ad interim della repubblica de facto, Vitali Ignatiev.
Destabilizzazione
Dmitry Rogozin, il vice primo ministro russo, con deleghe agli affari politicamente scorretti, nonché rappresentante speciale di Putin per la Transnistria, non si è lasciato sfuggire l’occasione di postare su Facebook le foto della «parata militare congiunta russo-transnistriana».
Ma Rogozin sa quali corde toccare per far innervosire i partner europei. Dopo aver fatto rizzare il pelo alla Nato con le sue dichiarazioni sull’Artico, alcuni mesi fa ha rotto il sereno sulla repubblica de facto dicendo che “la Transnistria potrebbe diventare uno stato completamente indipendente”.
L’occasione era stata fornita dalla tumultuosa situazione politica della Moldavia, cui il territorio della Transnistria appartiene de jure, e la possibile riunificazione della repubblica ex sovietica con la Romania. Un’ipotesi sempre nell’aria a Chisinau, ma mai realmente nell’agenda politica.
Questa volta l’occasione gliel’ha data la colonna di blindati americani che è entrata in Moldavia il 2 maggio. È però vero che la Transnistria non ha mai smesso di essere una leva nelle mani di Mosca per agitare il timore di un riaccendersi del conflitto congelato.
Lo spauracchio d’Europa
Il processo di indipendenza della Transnistria sembrava aver avuto un’importante accelerazione negli ultimi due anni, proprio nelle settimane in cui la Russia annetteva la Crimea e apriva la crisi (poi guerra) in Donbass.
Con una veloce riforma costituzionale per iniziativa del presidente Evgeny Shevchuk, la Transnistria ha recepito unilateralmente l’intero corpus normativo della Federazione russa, diventando di colpo un ibrido simile a una repubblica autonoma, ma non riconosciuta, della federazione Russa. Il Soviet supremo aveva poi inviato a Mosca una formale richiesta di riconoscimento dell’indipendenza. Rimasta però senza risposta. Alcuni mesi dopo, poi alcuni attivisti dell’organizzazione per l’unione con la Russia avevano consegnato a Rogozin, in visita a Tiraspol, 30mila firme cittadini transnistriani con la richiesta, rivolta al Cremlino, di accogliere la Transnistria nella Federazione russa. La richiesta non è stata (ancora) accolta, ma lo spauracchio di un’annessione o di un’indipendenza piena appoggiata dalla Russia viene puntualmente agitato ogni volta che se ne presenta l’occasione.
@daniloeliatweet
Mentre un contingente americano entrava in Moldavia per prendere parte a delle esercitazioni, dall’altra parte del Dnestr i soldati russi di stanza in Transnistria sfilavano nel giorno della Vittoria.