All’ombra dei sauditi, cresce l’influenza degli Eau nello Yemen, dove schierano i loro mercenari, controllano l’accesso al Paese e alcune isole, e sostengono le milizie salafite per contrastare i gruppi vicini al Qatar. E anche gli emiratini sono accusati di crimini di guerra
Tale padre, tale figlio, dice un vecchio adagio. E se dovessimo giudicare dalle sue mosse diplomatiche il figlio di Ali Abdullah Saleh, l’ex autocrate dello Yemen ucciso una settimana fa dai ribelli sciiti Houti, forse il detto avrebbe ragione.
Ahmed Ali Saleh, già comandante di 80mila unità della Guardia repubblicana, ha appena finito il suo giro tra i Paesi del Golfo. Prima a Riyad, dove ha incontrato il principe erede al trono Mohammed bin Salam, poi ad Abu Dhabi, dove ha avuto un vertice con Mohammed bin Zayed, erede al trono emiratino e comandante delle forze armate.
Le visite di Ahmad Ali Saleh ai Paesi vicini confermano ciò che era già noto: il dialogo mai chiuso del padre con l’Arabia Saudita e, soprattutto, un punto di convergenza rispetto agli interessi del governo centrale e dell’attuale presidente Hadi nel rapporto con gli Emirati Arabi Uniti
Gli Emirati sono un attore regionale poco citato dai media internazionali nella guerra in Yemen ma determinante in diversi campi: dal ristabilimento dello status quo nel sud del Paese al controllo dei confini di mare e del porto di Aden su tutta la costa di sud-ovest; dalle attività di intelligence e di tortura nelle carceri a quelle dei soldati mercenari, schierati di concerto con gli Usa. E infine, ultimo ma non meno importante, gli emiratini operano per diffondere il salafismo nella città di Taiz, da sempre la più fedele a Islah, il partito dei fratelli musulmani vicino al “nemico” Qatar.
Gli Emirati hano avuto un ruolo determinante nella riconquista del Sud del Paese dalle mani degli Houti. La loro presenza è stata richiesta dal presidente Rabbo Mansour Hadi, ma il rapporto si è incrinato durante la battaglia per liberazione dell’aeroporto di Aden dalle milizie del Nord, quando gli emiratini si sono rifiutati di abbandonare il controllo delle proprietà del figlio di Hadi. E hanno poi preteso di assumere un ruolo strategico determinante nella protezione dei punti di accesso al Paese.
L’attività degli Emirati è confermata da una serie di indizi significativi: le milizie locali ad Aden e anche i soldati dell’esercito yemenita utilizzano bandiere emiratine per segnalare la loro presenza ai checkpoint. Lo stesso avviene per tutte le unità che si occupano della protezione di Aidarous al Zubaidi – leader tribale di Hirak, movimento secessionista del sud – oggi considerato la longa manus degli Emirati sul territorio. Al Zubaidi ha già annunciato un “referendum” per l’indipendenza del sud del Paese e sembra sia intenzionato a portarlo avanti senza avere alcuna approvazione del governo centrale guidato da Mansour Hadi.
Per ammissione dello stesso Zubaidi, gli Emirati lo avrebbero finanziato con fondi e uomini, nello stesso modo in cui hanno inviato in Yemen con diverse funzioni migliaia di uomini del loro esercito di mercenari provenienti da Colombia, Panama, El Salvador, Sud Africa e Australia.
Inoltre, sarebbe stata prevista per gli Emirati l’assunzione del controllo strategico della meravigliosa isola di Socotra, uno dei paradisi dell’Oceano Indiano. Da report locali si viene a sapere che anche la vicina isola Abdal-Kuri sarebbe stata data in concessione agli Emirati dal governo centrale per 99 anni. E gli emiratini non si sarebbero limitati a controllarla ma avrebbero anche organizzato training militari “intensivi” con le loro truppe nella primavera del 2017, inclusivi di simulazioni di battaglia, esercitazioni con nuove dotazioni e primo soccorso. Infine, gli Emirati attualmente controllano l’isolotto di Perim sottratto agli Houti, nello stretto di Bab-al Mandab, oltre a conservare basi militari nel Somaliland e in Eritrea.
A Socotra gli Emirati sono entrati come presunti benefattori nel novembre 2015, quando dopo il passaggio del ciclone Megh, la Mezzaluna Rossa emiratina ha portato un miliardo e 600mila dollari di aiuti per ricostruire l’aeroporto e 18 scuole locali. L’accusa da parte di autorità locali e residenti è che l’intervento umanitario sia servito per “comprarsi” l’isola. Gli ufficiali avrebbero infatti pagato le autorità locali per chiudere un occhio sui loro piani, particolarmente controversi in un’isola che è già protetta dalle Nazioni Unite per il 70% come riserva naturale.
Sempre fonti locali confermano che è già in corso la costruzione di una città, “Madinat Zayed”, un complesso di prefabbricati destinati al momento a ospitare unità militari che stazionano in loco. E gli abitanti di Socotra vengono incoraggiati a vendere le loro proprietà agli emiratini in cambio di un appartamento nella futura “Madinat Zayed”, sottolineano gli attivisti locali, che hanno lanciato una campagna contro l’“occupazione” di Socotra.
Gli abitanti del luogo non sono gli unici che puntano il dito contro l’attività degli Emirati in Yemen. Anche l’Arab Organization for Human Rights in Inghilterra si è appellata alla corte militare internazionale per inserire gli Emirati nella lista dei Paesi che commettono “attacchi indiscriminati contro i civili”. L’accusa, secondo quanto riferito dal portavoce Joseph Breham, riguarderebbe l’uso di bombe a grappolo acquistate dagli Usa e utilizzate contro i ribelli Houti del Nord.
Sarebbe sotto osservazione anche l’impiego di mercenari dell’esercito emiratino nelle prigioni di Mukalla, dove avrebbero condotto interrogatori con torture ed esecuzioni sommarie, nonché trasferimenti di prigionieri nella loro base di Assab in Eritrea, secondo una inchiesta di Associated Press. Il governo emiratino rigetta le accuse ma rimane il sospetto che la sua presenza in Yemen non stia contribuendo all’allontanamento della minaccia qaedista.
Da aprile 2016, quando Al Qaeda nella Penisola Islamica è stata allontanata dall’Hadramout e dalla sua capitale di provincia, Mukalla, gli Emirati hanno fatto progressi lentissimi contro il gruppo e, di fronte ad attacchi consistenti come quello del villaggio di Mudiyah, sono rimasti quasi inattivi.
L’ipotesi, suffragata dalle testimonianze di alcuni residenti e dall’analisi di Bushra al Maqtari, del Sana’a Center for Strategic Studies è che gli Emirati stiano allargando al sud dello Yemen una strategia già sperimentata a Taiz, città rimasta fedele a Islah, il partito dei Fratelli Musulmani. Qui gli Emirati starebbero favorendo e finanziando tutte le milizie non aderenti a Islah, per intensificare le rivalità locali e rendere l’area ingestibile sotto il profilo della sicurezza.
Le milizie ricevono sostegno finanziario e logistico dagli Emirati e, spesso, hanno operato in cooperazione contro i gruppi armati affiliati ai Fratelli Musulmani yemeniti. Una ulteriore prova dell’inserimento di nuovi elementi settari nel già complesso teatro dello Yemen, destinato a una frammentazione più ampia dell’antica divisione nord-sud.
All’ombra dei sauditi, cresce l’influenza degli Eau nello Yemen, dove schierano i loro mercenari, controllano l’accesso al Paese e alcune isole, e sostengono le milizie salafite per contrastare i gruppi vicini al Qatar. E anche gli emiratini sono accusati di crimini di guerra
Tale padre, tale figlio, dice un vecchio adagio. E se dovessimo giudicare dalle sue mosse diplomatiche il figlio di Ali Abdullah Saleh, l’ex autocrate dello Yemen ucciso una settimana fa dai ribelli sciiti Houti, forse il detto avrebbe ragione.