L’ultima è un autolavaggio a Blagoveshchensk che si chiama «Obama» e promette di lavare via tutto il nero dalle vostre macchine. I riferimenti al colore della pelle del presidente americano sono ormai un leitmotiv della cultura pop russa. Segno di un razzismo latente a volte travestito da innocua ironia.
Quella dell’autolavaggio è una trovata di marketing che funziona in Russia. Fa sorridere e non è ritenuta offensiva. Ma il problema è proprio questo. È nelle menti di chi crede che sia divertente – anche per le persone di colore – fare innocui e continui riferimenti al colore della pelle. Un po’ come quel presidente del Consiglio che, proprio parlando con l’allora presidente russo, definì Obama «abbronzato». Non c’è necessariamente l’intenzione di offendere. Ma forse chi è oggetto di questa ironia da generazioni ne ha un po’ piene le scatole.
Banan Obama
Di episodi ce ne sono a bizzeffe. C’è il gelato al cioccolato fondente, nero nero, chiamato Obamka, “piccolo Obama”, prodotto da una ditta di Naberezhnye Chelny, in Tatarstan. C’è il calendario visto a Kazan, sempre in Tatarstan, che raffigura un piccolo di scimpanzé con la faccia di Barack in braccio a due scimpanzé adulti, come in posa per la foto famiglia. Ci sono stati i poster nella città di Perm con un Banan Obama che guarda una banana con la bava alla bocca. C’è stato il laser proiettato da alcuni studenti sulla facciata dell’ambasciata americana a Mosca per il suo 53° compleanno, in cui una banana andava su e giù dalla sua bocca. C’è stato il carro in maschera alla festa della Redbull a Mosca in cui lui e altri “uomini neri” inseguivano una grande banana. E infine c’è il meme «Obama chmo!», qualcosa come “cretino, idiota”, che invade sia il mondo online che quello offline. Da adesivi a magliette, è finito pure sulla pista dell’aeroporto russo di Latakia, in Siria, così grande da essere visto dai satelliti americani.
Un’idea divertente
A parte quest’ultimo caso, però, il più delle volte c’è da credere a una specie di buona fede. La ditta di gelati ha ritirato lo stecco Obamka e il suo direttore ha detto che «il nome non è stato scelto per motivi politici, ma solo perché l’idea era divertente». Il negozio di Kazan ha ritirato dalla vendita i calendari, difendendosi dicendo che si è trattato della prima volta di una cosa del genere da loro. E Vadim Shevchenko, dell’ufficio stampa di Redbull Russia, ha detto che «ovviamente non si è trattato di alcuna espressione di razzismo. Se fosse stati qui lo avreste visto. La situazione era assolutamente amichevole e felice».
Non c’è dubbio che i ragazzi mascherati da Obama e colorati di nero che inseguivano la grande banana si stessero divertendo. E magari pure tutta la gente lì intorno. Ma è proprio questo il problema. L’indice di una società che non riesce a liberarsi di un razzismo sottopelle e che a volte esplode in superficie. Un modo di pensare che non ritiene offensivo raffigurare una persona di colore come una scimmia o con una banana in bocca. Una pseudo cultura pop che – sull’onda dei rapporti politici con gli Usa ai minimi dai tempi della guerra fredda, della crisi ucraina e dello scontro con la Nato – non trova altro di meglio che prendersela con il colore della pelle del presidente degli Stati uniti.
@daniloeliatweet
L’ultima è un autolavaggio a Blagoveshchensk che si chiama «Obama» e promette di lavare via tutto il nero dalle vostre macchine. I riferimenti al colore della pelle del presidente americano sono ormai un leitmotiv della cultura pop russa. Segno di un razzismo latente a volte travestito da innocua ironia.
Quella dell’autolavaggio è una trovata di marketing che funziona in Russia. Fa sorridere e non è ritenuta offensiva. Ma il problema è proprio questo. È nelle menti di chi crede che sia divertente – anche per le persone di colore – fare innocui e continui riferimenti al colore della pelle. Un po’ come quel presidente del Consiglio che, proprio parlando con l’allora presidente russo, definì Obama «abbronzato». Non c’è necessariamente l’intenzione di offendere. Ma forse chi è oggetto di questa ironia da generazioni ne ha un po’ piene le scatole.