Un secolo fa gli armeni furono vittime di quello che è considerato il primo genocidio del XX secolo, tragico punto d’arrivo di una storia lunga quasi duemila anni. Quello armeno fu il primo popolo al mondo a dichiarare il Cristianesimo religione ufficiale del proprio paese, nel 301 dC. Secondo la tradizione la fondazione della Chiesa armena è fatta risalire a Taddeo e Bartolomeo, ma fu solo all’inizio del IV secolo che San Gregorio Illuminatore battezzò il re Tiridate III. Da allora il Cristianesimo è diventato il pilastro dell’identità armena.
Il genocidio armeno si è svolto in due fasi principali. Il primo massacro (1894-1897) è legato al sultano Abdul Hamid II (da cui il termine massacro hamidiano), il quale volle punire una popolazione in rivolta ordinando terribili repressioni. Il secondo olocausto (1915-1923), quello drammaticamente più importante, fu perpetrato dal gruppo dei “Giovani Turchi”, che per realizzare i propri obiettivi nazionalisti pianificarono l’eliminazione sistematica della popolazione armena presente nel Paese. Tutto ebbe inizio nella notte tra il 23 e il 24 aprile 1915, quando nella città di Costantinopoli (l’odierna Istanbul), furono arrestati gli intellettuali dell’élite armena presenti in città. In un solo giorno scomparvero quasi 300 persone appartenenti alla classe dirigente tra cui giornalisti, scrittori, avvocati e deputati al Parlamento. Questi furono deportati in Anatolia, e i sopravvissuti al duro tragitto furono massacrati una volta giunti a destinazione. Dopo aver eliminato la classe dirigente, il governo turco, con un decreto emesso sempre nel 1915, ordinò il disarmo di tutti i militari armeni arruolatisi per la Grande Guerra (circa 350.000), che furono arrestati e massacrati. Infine, il piano dei “Giovani Turchi” colpì l’intera popolazione armena dell’Anatolia, deportata verso la Mesopotamia. Presero avvio le terribili marce della morte che coinvolsero circa 1.200.000 persone. I “Giovani Turchi” uccisero senza pietà gli uomini e deportarono i bambini e le donne nel deserto siriano, dove morirono per la fame e per la sete. I beni sequestrati andarono ad arricchire alcune famiglie turche. Fu il Medz Yeghern, il Grande Male.
Da questa tragedia nasce il concetto di genocidio nel diritto internazionale. Il giurista polacco Raphael Lemkin dedicò la sua vita allo studio dei crimini contro l’umanità, ponendo le basi per un’assunzione di responsabilità degli Stati, che ha portato all’istituzione del Tribunale Permanente dei Popoli. Lemkin, dopo aver conosciuto lo sterminio degli armeni e la ferocia perpetrata dai nazisti, coniò il termine genocidio, fatto proprio dall’Assemblea generale dell’ONU il 9 dicembre 1948.
“Per genocidio intendiamo la distruzione di una nazione o di un gruppo etnico.[…] In senso generale, genocidio non significa necessariamente la distruzione immediata di una nazione, se non quando esso è realizzato mediante lo sterminio di tutti i suoi membri. Esso intende, piuttosto, designare un piano coordinato di differenti azioni miranti a distruggere i fondamenti essenziali della vita dei gruppi nazionali, per annientare questi gruppi stessi”. Raphael Lemkin

Un secolo fa gli armeni furono vittime di quello che è considerato il primo genocidio del XX secolo, tragico punto d’arrivo di una storia lunga quasi duemila anni. Quello armeno fu il primo popolo al mondo a dichiarare il Cristianesimo religione ufficiale del proprio paese, nel 301 dC. Secondo la tradizione la fondazione della Chiesa armena è fatta risalire a Taddeo e Bartolomeo, ma fu solo all’inizio del IV secolo che San Gregorio Illuminatore battezzò il re Tiridate III. Da allora il Cristianesimo è diventato il pilastro dell’identità armena.
Il genocidio armeno si è svolto in due fasi principali. Il primo massacro (1894-1897) è legato al sultano Abdul Hamid II (da cui il termine massacro hamidiano), il quale volle punire una popolazione in rivolta ordinando terribili repressioni. Il secondo olocausto (1915-1923), quello drammaticamente più importante, fu perpetrato dal gruppo dei “Giovani Turchi”, che per realizzare i propri obiettivi nazionalisti pianificarono l’eliminazione sistematica della popolazione armena presente nel Paese. Tutto ebbe inizio nella notte tra il 23 e il 24 aprile 1915, quando nella città di Costantinopoli (l’odierna Istanbul), furono arrestati gli intellettuali dell’élite armena presenti in città. In un solo giorno scomparvero quasi 300 persone appartenenti alla classe dirigente tra cui giornalisti, scrittori, avvocati e deputati al Parlamento. Questi furono deportati in Anatolia, e i sopravvissuti al duro tragitto furono massacrati una volta giunti a destinazione. Dopo aver eliminato la classe dirigente, il governo turco, con un decreto emesso sempre nel 1915, ordinò il disarmo di tutti i militari armeni arruolatisi per la Grande Guerra (circa 350.000), che furono arrestati e massacrati. Infine, il piano dei “Giovani Turchi” colpì l’intera popolazione armena dell’Anatolia, deportata verso la Mesopotamia. Presero avvio le terribili marce della morte che coinvolsero circa 1.200.000 persone. I “Giovani Turchi” uccisero senza pietà gli uomini e deportarono i bambini e le donne nel deserto siriano, dove morirono per la fame e per la sete. I beni sequestrati andarono ad arricchire alcune famiglie turche. Fu il Medz Yeghern, il Grande Male.
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