“Mi chiedono cosa penso dei fascisti, delle loro responsabilità. Gli ‘italiani brava gente’ sono stati gli zelanti servi dei nazisti. Erano loro a caricarci sui treni, a calci e pugni, a noi colpevoli solo di essere nati”. Nei suoi 25 anni di impegno da Testimone, Liliana Segre, 84 anni, deportata nel campo di sterminio Auschwitz a 13, non si è mai stancata di sottolineare il ruolo italiano nella Shoah.
Alla vigilia del 27 gennaio, anniversario della liberazione di Auschwitz e data prescelta per la celebrazione del Giorno della Memoria, questo messaggio, troppo spesso inascoltato, potrebbe costituire la dimensione fondamentale per fare sì che a 15 anni dalla sua istituzione, l’appuntamento rappresenti davvero un’occasione per portare la riflessione su ciò che accadde un passo oltre.
Infatti, se da un lato il Giorno della Memoria, istituito in Italia dalla Legge 211/2000 “in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti” rappresenta oggi un momento estremamente sentito nel paese, con centinaia di iniziative organizzate per l’occasione, libri pubblicati, programmazione televisiva dedicata, la vera domanda è in quale direzione sia necessario andare per evitare di scadere nella banalizzazione e vuota ritualità.
“Il Giorno della Memoria oggi rappresenta un modo per ricordare il Novecento in un paese che non ha date collettive condivise in cui confrontarsi con la sua storia” spiega a East lo storico David Bidussa, autore, tra gli altri, di “L’era della postmemoria” (Massetti Rodella Editori, Roccafranca, 2012) e “Dopo l’ultimo testimone” (Einaudi, Torino 2009).
“Per questa ragione, la lettura che se ne può offrire è duplice. Da un lato esso può essere considerato un omaggio altruistico, un’opportunità per parlare di qualcosa di cui per decenni si è parlato molto poco. Dall’altro è diventato un modo per affermare che nel nostro paese il male lo hanno fatto in pochi, mentre in tanti hanno aiutato”.
Un modo per sentirsi buoni e autoassolversi dunque. Sintomatica in questo senso, sottolinea Bidussa, è la scelta della data, un momento che non è appunto specifico della storia della Shoah in Italia, ma accoglie invece il suggerimento della Dichiarazione dello Stockholm International Forum on the Holocaust svoltosi nella capitale svedese nel gennaio del 2000, che vide la partecipazione di 46 nazioni.
“In altri paesi europei, come la Germania e la Francia, la Memoria è profondamente legata al confronto con le proprie responsabilità. In Francia per esempio, un’occasione fondamentale per la riflessione è il 16 luglio (quando, nel 1942 a Parigi, oltre 13,000 ebrei vennero arrestati, rinchiusi nel Vélodrome e poi deportati, in un’operazione interamente condotta dalla polizia francese ndr)” spiega ancora lo storico. “In Italia è significativo che la dimensione nazionale manchi, così come lo è il fatto che tanto forte sia l’adesione alla data europea, che non appartiene a nessuno, e punta sui diritti universali di tutti. E da noi si raccontano i Giusti e gli oppositori, ma non i carnefici”.
Secondo lo studio “Scenari di un’Italia che cambia – Speciale per il Giorno della Memoria”, appena realizzato dall’istituto di ricerche SWG Lab con la collaborazione della redazione del giornale dell’ebraismo italiano Pagine Ebraiche, la percentuale di italiani che ritiene che il Giorno della Memoria “aiuti a non dimenticare ciò che è successo” si mantiene estremamente elevata (il 93%, nel 2014 era il 94), così come quella di chi pensa che esso “aiuti a mantenere viva l’attenzione su queste problematiche” (87% a fronte del 90 dello scorso anno). Tuttavia il numero di coloro che invece indicano come l’appuntamento “non serva più a nulla” è quasi raddoppiato, passando dall’11 al 21%, ed è aumentato significativamente anche quello di chi ha affermato che “ricordare il genocidio degli ebrei e delle altre vittime del nazismo attraverso il Giorno della Memoria è retorico” (dall’8 al 13%).
La chiamata insomma sembra essere quella di impegnarsi per riempire la giornata di contenuti.
“Per i ventenni di oggi il Giorno della Memoria è stato presente nell’intero percorso scolastico. Non è più sufficiente limitarsi diffondere la conoscenza del fatto che la Shoah ha avuto luogo, bisogna concentrarsi su quale messaggio e insegnamento sia necessario trarne, creando un percorso di educazione civica volto a riflettere su come comportamenti grigi esistano anche al di fuori di situazioni estreme” conclude Bidussa.
Non più soltanto slogan come “ricordare, non dimenticare, never again”, ma anche cosa queste parole significhino oggi, nella vita quotidiana di ogni essere umano.
Perché la Memoria diventi rilevante 365 giorni all’anno, e non soltanto il 27 gennaio.
“Mi chiedono cosa penso dei fascisti, delle loro responsabilità. Gli ‘italiani brava gente’ sono stati gli zelanti servi dei nazisti. Erano loro a caricarci sui treni, a calci e pugni, a noi colpevoli solo di essere nati”. Nei suoi 25 anni di impegno da Testimone, Liliana Segre, 84 anni, deportata nel campo di sterminio Auschwitz a 13, non si è mai stancata di sottolineare il ruolo italiano nella Shoah.