Tsipras non accetta l’offerta dell’Ue. L’Ue non accetta le proposte di Tsipras. Eppure sono stati raggiunti dei compromessi…
La vittoria elettorale del partito della sinistra radicale Syriza in Grecia costituisce una sfida politica importante per l’Unione europea. Il nuovo governo di Alexis Tsipras è stato il primo governo europeo scelto sulla base del rifiuto aperto ed esplicito della cosiddetta politica di austerità. Incaricato quindi dagli elettori di portare questo rifiuto a Bruxelles. E bisogna dire che, pur abbassando i toni, il governo greco finora ha onorato il suo mandato.
Fino a quando Tsipras e il ministro delle Finanze Yanis Varoufakis sono sbarcati a Bruxelles, mai le istituzioni europee avevano sentito una contestazione così radicale: al massimo qualche lamentela e sordi borbottii. Alla fine, per tutta la lunga durata della crisi, era diventata la regola: tutti i governi dei paesi indebitati – popolari o socialisti – avevano accettato la cura dettata dalla cosiddetta troika (Commissione europea, Bce, Fmi). La parola d’ordine era: non c’è altro modo, non si può fare altrimenti.
Un dogma che, nel caso greco, è diventato poco credibile. Talmente poco convincente che proprio su questo rifiuto del “senso unico” europeo c’è stato un rapido spostamento a sinistra dell’elettorato. Il quale, ovviamente, non ha sposato all’improvviso le tesi del marxismo militante ma ha voluto semplicemente mandare un messaggio forte. Dopo cinque anni di pesante austerità, infatti, i Greci si sono profondamente convinti che la ricetta o è sbagliata o è velenosa e che comunque per questa strada non è possibile ottenere alcun vantaggio. Tanto vale quindi dare credito a Syriza e sfidare l’Europa nella speranza di ottenere qualcosa.
Un altro elemento che fuori dalla Grecia viene trascurato è l’intreccio tra la politica della troika e gli interessi dell’oligarchia locale. Già nelle precedenti elezioni del 2012 aveva suscitato discussioni lo schieramento massiccio sia dell’allora Commissione europea che del governo tedesco in favore del partito di centrodestra Nuova Democrazia e del suo leader Antonis Samaras. Nuova Democrazia e i socialisti del Pasok sono i due partiti che avevano governato nell’ultimo quarantennio, quindi i primi responsabili del disastro economico. La logica avrebbe voluto che le istituzioni europee e anche la Cancelliera Merkel spingessero verso un cambiamento della leadership politica greca, in modo da emarginare le vecchie forze, incapaci e corrotte.
È avvenuto invece il contrario e il motivo è stato ben presto chiarito: non solo Samaras aveva dato precise assicurazioni sulla sua fedeltà verso le indicazioni della troika fin dal novembre 2011, come è stato rivelato solo dopo molti anni, ma aveva preso anche l’impegno di non toccare i rapporti di affari tra l’oligarchia greca e le potenze europee, in particolare con il mondo imprenditoriale tedesco. Con quest’ultimo, tali rapporti talvolta risalivano fino alla prima metà degli anni Quaranta. Caso esemplare quello di Nikolaos Christoforakos, celebre collaborazionista delle SS, il cui figlio Michael era il rappresentante in Grecia della Siemens e pesantemente coinvolto in uno scandalo di tangenti tedesche distribuite a vari governi greci.
Il primo atto del governo Samaras subito dopo le elezioni è stato di sancire un compromesso extragiudiziario con la Siemens, in modo di soffocare lo scandalo. Simile è stato il comportamento del precedente governo anche nel campo delle privatizzazioni, della lotta all’evasione fiscale, perfino nella scelta clientelare degli impiegati pubblici da licenziare. In conclusione, la troika non solo non ha combattuto ma ha rafforzato l’intreccio tra oligarchi greci e i due (ex) partiti di governo.
Agli occhi dei Greci, quindi, il rifiuto della troika è coinciso con la lotta al privilegio e con la richiesta di una distribuzione più equa del peso della crisi. Su questo terreno anche l’Unione europea si è trovata nella posizione di aver poco da obiettare e non è casuale il fatto che le prime riforme su cui è stato raggiunto un compromesso tra l’eurogruppo e il governo di Tsipras riguardano proprio il sistema delle imposte e l’amministrazione pubblica, oltre che le misure urgenti verso le famiglie senza reddito.
Va precisato che la proposta politica di Syriza non prospetta alcuna alternativa all’austerità, né prefigura alcuna possibile politica di crescita dell’eurozona, oltre alle vecchie e consolidate ricette della scuola keynesiana, oppure a qualche proposta formulata da Varoufakis, economista non ancora ministro.
Tsipras ha spiegato questa assenza: la ricerca di un’alternativa di crescita non può avvenire su basi nazionali. La crisi, a giudizio del Premier greco, è europea e la strategia di crescita va ricercata a livello europeo. Sarà comunque una strategia che dovrà affrontare anche il problema principale sollevato dal governo greco, che riguarda il debito. Secondo Tsipras, il debito è il segno evidente del fallimento della politica europea verso la Grecia: allo scoppio della crisi, nel 2010, il debito greco rappresentava il 111% del Pil, cinque anni dopo è arrivato al 176%. Il debito ora è un peso che opprime l’economia e le impedisce di sollevarsi.
La Grecia, anche se a prezzo di pesantissimi sacrifici, alla fine è riuscita a ottenere, già dal 2013, il surplus primario dei conti pubblici. Ma su questo surplus pesano come macigni gli interessi e i saldi parziali, che per tutto il 2015 ammontano a 29 miliardi. Si è parlato di un eventuale terzo prestito alla Grecia, ma il governo Tsipras ha rifiutato categoricamente l’offerta: fare nuovi debiti per saldare i vecchi non è un buon metodo.
Meglio affrontare di petto la questione, magari in una conferenza europea, come quella di Londra del 1953, che il Premier greco cita in ogni occasione, nella quale venne condonato gran parte del debito di guerra della Germania nazista.
Tsipras non accetta l’offerta dell’Ue. L’Ue non accetta le proposte di Tsipras. Eppure sono stati raggiunti dei compromessi…