La nascita, l’educazione, le origini di Vladimir Putin, per poter meglio interpretare le sue mire, la sua politica e il fascino che esercita sul resto del mondo.
È un libro a senso unico, quello di Steven Lee Myers. Il giornalista del New York Times, già corrispondente a Mosca e Baghdad, è senza compromessi. Anche perché la figura tratteggiata lo è. Aprendo per la prima volta The New Tsar: The Rise and Reign of Vladimir Putin sembra di essere sul set di un film di James Bond. Solo che il personaggio narrato è ben più controverso.
Enigmatico, complesso, machiavellico, calcolatore. Così è stato definito più volte Putin. Tutti aggettivi che inquadrano un politico che non finisce mai di stupire gli osservatori della politica internazionale. Di lui c’è una frase che lo distingue, pronunciata a Sochi nello scorso ottobre e che ripete spesso nel suo entourage: “La strada a Leningrado, cinquant’anni fa, mi ha insegnato una lezione: se la rissa è inevitabile, colpisci per primo”. E lui, scorrendo le pagine del libro di Myers, viene dipinto proprio così. I natali certo non agiati, la formazione presso la Statale di Leningrado, l’arruolamento nel Komitet gosudarstvennoj bezopasnosti (Kgb), l’ascesa politica: tutto pare pianificato nei minimi dettagli. Per quanto controversa, è difficile non essere affascinati da una persona che si è fatta davvero da sola, conquistando tutto quello che c’era da conquistare e forse anche di più. Con la forza e non.
Myers è convinto che dietro alle decisioni di Putin, compresa quella relativa alla Crimea, c’è un disegno definito da tempo. “Putin ama la Federazione Russa. Ama la Russia. Ha visto la disgregazione della “sua” Unione Sovietica e ha deciso di ricostruirla, in altro modo”, dice Myers. Costi quel che costi. La patria sopra ogni cosa, sopra ogni convenzione, sopra ogni singola regola. Così agisce Putin. Perché l’interesse nazionale è la priorità. Anche a costo di prendere scelte impopolari sul fronte internazionale, che hanno prodotto sanzioni che stanno affossando l’economia domestica. Perché l’orizzonte temporale da guardare, nel caso di Putin, non è il prossimo anno, bensì il prossimo ventennio.
La pianificazione del successo, politico e gestionale, è il mantra dell’ex funzionario del Kgb. C’era ai tempi della sua prima volta come Primo ministro, nel 1999, e c’era ai tempi del suo primo mandato come Presidente della Federazione Russa. L’eredità del passato, quello delle origini povere, ha pesato e molto nella sua costante ricerca del potere. Non più dell’amore per la patria, fa però notare Myers. Il desiderio di ricostruzione della Grande Russia è in ogni parola del volume. Del resto, la stessa retorica di Putin, specie quando parla della Crimea o del rapporto con gli Stati Uniti, va in quella direzione. Nonostante le sanzioni, nonostante le condanne da parte della comunità internazionale. Così come la voglia di trovare un nemico a tutti i costi. Perché Putin sa che per gestire il potere bisogna prima di tutto avere un antagonista. Ora gli USA, ora l’Europa, domani chissà.
Ma c’è un altro aspetto che manca, ed è una mancanza pesante, nel libro di Myers. Qual è la percezione che i russi hanno di Putin. Una domanda che si è posto anche Gal Beckerman sul New York Times. La biografia di Myers è avvincente e dettagliata, ma perfino nella mente di un lettore disattento non si capisce perché non ci sia spazio per chi vive nella Russia odierna. In che modo “il nuovo zar” ha influenzato e influenza i cittadini russi oggi? In che maniera l’informazione è libera a Mosca e dintorni? È, forse, colpa di quella sudditanza psicologica che incute la figura ingombrante di Putin. Un personaggio tanto dotato di un allure d’altri tempi quanto discutibile.
The New Tsar: The Rise and Reign of Vladimir Putin
Steven Lee Myers, 572 pp. Alfred A. Knopf. $32.50
La nascita, l’educazione, le origini di Vladimir Putin, per poter meglio interpretare le sue mire, la sua politica e il fascino che esercita sul resto del mondo.