Fondò una scuola dove i bambini studiano in aule senza porte e imparano dal Libro degli alberi a preservare l’ambiente.
“Salviamo la foresta amazzonica”. E’ oggi uno dei più noti richiami del marketing ambientale, ma per qualcuno è più una tangibile necessità che uno slogan.
I ticuna, popolo indio tra i più numerosi del Brasile nel polmone verde della Terra – al confine tra Perù e Colombia – ci vive da sempre. Per loro il concetto di ecologia riguarda semplicemente l’esistenza quotidiana.
E’ per questo che i bambini nella “scuola della foresta” studiano su Il libro degli alberi o Il libro dei pesci. Testi che insegnano a capire il valore delle specie vegetali e animali fondamentali per la loro vita. Come tutti i bambini del mondo imparano così a sistematizzare le loro esperienze, che in questo caso coincidono con la biodiversità a portata di mano. Mica in uno zoo o tra le pagine di un sussidiario.
Di questo era convinto Constantino Ramos Lopes, battezzato con un nome da imperatore romano, ma nato Füpeatücü, che nella lingua ticuna significa “ala sollevata”. Di professione maestro, orgoglioso delle origini e natio di Benjamin Constant, un comune dell’Alto Solimões, come si chiama il Rio delle Amazzoni per questo tratto. Ci si arriva solo via fiume. Da Manaus ci vogliono 31 ore con l’imbarcazione veloce.
Nel 1986 Constantino Ramos fondò l’Organizzazione generale dei professori ticuna bilingui (Ogptb), perché se è importante imparare a esprimersi al meglio nella lingua materna, destreggiarsi con il portoghese, non più imposto dall’uomo bianco, è una possibilità da non perdere. Il maestro indio immaginava che in questo modo i suoi alunni sarebbero potuti diventare anche medici, professori o avvocati.
“In principio insegnavamo il portoghese ai bambini ticuna, leggendo e traducendo i testi delle scuole brasiliane. Ma questi libri parlavano di cose di un altro mondo, lontane dalla loro vita. E noi dovevamo sempre interpretarli. Così abbiamo pensato di crearci un nostro materiale didattico, sempre in portoghese. Ora i testi raccontano cose e storie della foresta, parlano degli alberi, dei fiumi, degli animali, della natura: è tutto quello che vediamo intorno a noi”, spiegò in un incontro organizzato a Roma nel 1999 e promosso dal Ministero della Pubblica Istruzione italiano, dal titolo “La pedagogia della foresta”.
Raccontò delle scuole con il tetto di foglie di palma di bussù intrecciate, ma rigorosamente senza porte e senza finestre, che lui, con un gruppo di maestri rurali, era riuscito a realizzare nei villaggi dell’Alto Solimões. Finalmente i suoi ragazzi non dovevano più percorrere chilometri per andare a scuola. Niente più precetti delle missioni religiose o del governo centrale. Niente voti o pagelle.
Il maestro ticuna parlò anche del progetto della sua organizzazione per formare insegnanti indigeni con titolo di studio e programmi didattici riconosciuti dal Consiglio di Educazione di Stato. “Vogliamo dare loro la formazione necessaria per accedere all’università. Ultimamente in Brasile è stata fatta una legge che permette a questi insegnanti, che hanno solo un diploma magistrale, di iscriversi all’università con un corso integrativo, di terzo livello, senza dover superare un esame di ammissione”, disse allora incantando la platea come uno sciamano. Faceva questo effetto Constantino Füpeatücü a sentirlo parlare.
Dal suo villaggio nella terra dei tre confini ha fatto scuola fin nelle università brasiliane. Ha diretto e curato il museo etnografico Maguta, il nome indio dei ticuna, per conservare e tramandare l’arte e le tradizioni del suo popolo. Ha viaggiato per il mondo raccontando la sua idea didattico-pedagogica, confrontando l’esperienza in Amazzonia con quella dei colleghi occidentali. Metodi e culture diverse, ma curiosità reciproca. E un identico obiettivo: fornire strumenti conoscitivi agli alunni.
“Se la si guarda dall’alto, tutto sembra immobile. Ma dentro è differente. La foresta è sempre in movimento. Al suo interno c’è una vita che si trasforma senza sosta. Viene il vento. Viene la pioggia. Cadono le foglie. E foglie nuove nascono. Dai fiori escono i frutti. E i frutti sono cibo. Gli uccelli lasciano cadere i semi. Dai semi nascono gli alberi. E viene la notte. Viene la luna. E vengono le ombre, che moltiplicano gli alberi. Le luci delle lucciole sono stelle sulla terra. E con il sole viene il giorno. Esso scalda la foresta. Illumina le foglie. Tutto ha colore e movimento”, recita O livro das árvores, scritto dai professori dell’Ogptb e illustrato con disegni di alberi dai colori esplosivi. Più che un manuale di scienze, un cantico delle creature profondamente intriso di cultura ticuna.
Constantino Ramos è morto due anni fa e questo è il suo lascito più importante. Aveva un corpo minuto offeso da quattro pallottole che lo colpirono da ragazzo. Era rimasto ferito durante il tremendo massacro del suo popolo nel 1988, passato alla storia come O massacre do Capacete, dal nome di un fiume nelle vicinanze.
Solo molti anni dopo i giudici sentenziarono che si trattò di genocidio nei confronti del popolo ticuna.
Fondò una scuola dove i bambini studiano in aule senza porte e imparano dal Libro degli alberi a preservare l’ambiente.