In queste settimane di tour di Narendra Modi mi avete chiesto da varie parti un po’ di informazioni e opinioni circa i rapporti tra India e Giappone, Cina, Usa. Raccolgo qui cinque punti utili e semiseri che spiegano, spero, la politica estera di Modi e la sua fenomenologia mediatica.

1. Ma quindi ora Modi e Shinzo Abe sono alleati contro la Cina?
Manco per niente. A Tokyo, Modi ha fatto un bel discorso su due concetti di sviluppo, mettendo in contrapposizione – ma senza mai citarla per nome – la “politica espansionistica” della Cina e lo “sviluppo per tutti” delle democrazie asiatiche (le due più “pesanti”, chiaramente, sono India e Giappone).
Un passaggio che ha gasato la stampa occidentale, che già immaginava i titoloni “L’Elefante colpisce il Dragone a colpi di sushi”, e alla fine invece niente. Modi ha raggiunto il suo obiettivo: portare a casa un po’ di soldi – 35 miliardi di dollari diluiti su cinque anni – da investire in infrastrutture. Ha condito tutto con bellissime parole di rito ma, alla fin della fiera, sa che non può legarsi troppo a nessuno, deve tenere le mani libere per prendere più investimenti stranieri possibili. E meno nemici ci si fanno, più soldi arrivano.
Ah, in Giappone ha pure suonato il tamburo, facendo valere le sue origini “di movimento” tra le fila della Rashtriya Swayamsevak Sangh.
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2. E con Xi Jinping in India? Gliele ha cantate?
Manco per niente. Modi, che è uno Politico con la p maiuscola (proprio oggi il politologo/sociologo/psicologo prezzemolino Ashis Nandy ha detto che l’attuale primo ministro è di gran lunga migliore “dei cretini che hanno governato questo paese di recente”), ha trattato con i guanti il presidente cinese in visita in India.
L’ha accolto a “casa sua”, in Gujarat, per fargli vedere quanto bene ha funzionato – secondo lui – il modello di sviluppo ultracapitalista applicato dalla sua amministrazione in due mandati consecutivi. Poi se l’è portato a Delhi, mentre nei territori contesi sull’Himalaya l’esercito cinese ha sforato oltre i “confini” per, si dice, costruire una strada. La stampa indiana ha provato a sovraesporre la questione, nella speranza di chiudere all’angolo Modi e costringerlo a una dichiarazione dura e pubblica contro Xi Jinping. Modi ha sviato sapientemente, discutendo della cosa “a porte chiuse”, e riempendo di belle parole anche la Cina. La contrapposizione democrazie asiatiche vs cattivone cinese era già roba passata.
NaMo sa che dalla rete cinese non si scappa e che senza l’aiuto economico e le buone intercessioni di Pechino, l’India non riuscirà a crescere come vorrebbe. La Repubblica Popolare è un “nemico” fuori portata e quindi tocca fare buon viso a cattivo gioco.
Xi Jinping ha promesso 20 miliardi di fondi in cinque anni e due poli industriali realizzati da imprenditori cinesi. E anche qui Modi ha portato a casa qualcosa, seppur meno delle aspettative: voleva 100 miliardi (o almeno questa la cifra che girava sulla stampa nazionale), si è accontentato di un quinto.
3. Poi è andato dagli americani…
Sì, e qui in India sono impazziti, nel senso buono.
I media indiani, quasi all’unanimità, hanno raccontato la visita di Modi con un registro epico, storico. Bagni di folla, un discorso ad un concerto rock a Central Park, colazione e pranzi di lavoro con chiunque (gente di Goldman Sachs, IBM, Google, Mastercard, Citigroup…), il discorso – in hindi – all’Onu, la consacrazione davanti a quasi 20mila “spettatori” al Madison Square Garden (vedi punto cinque). Poi la cena privata con Obama, dove Modi ha “sorseggiato acqua calda”, essendo in digiuno per la festività hindu di Navratri (nota: Modi è un brahmacarin, un fedele hindu che conduce una vita molto rigorosa come pratica spirituale: yoga tutte le mattine, celibato, osservanza “estrema” durante le festività).
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E infine il colloquio pubblico, in cui si sono esaltati i molti punti in comune tra Usa e India che dovrebbero rilanciare la partnership su più fronti.
4. Tutto molto bello, ma quindi?
Ecco, quindi niente. Nel senso che la visita americana, se si parla di questioni concrete, è stato un mezzo fallimento. Modi non è tornato in India con assegni in dollari, solo con un mucchio di promesse: vi aiuteremo a ripulire il paese (nel senso proprio di pulire dall’immondizia, e due giorni fa Modi ha lanciato la campagna Swacch Bharat, Clean India), vi aiuteremo a costruire le smart city (un pallino di Modi, delle città satellite ultramoderne che dovrebbero sorgere fuori dai centri urbani “storici”), continuiamo a parlare per vedere cosa si può fare nel nucleare civile, andiamo avanti con le esercitazioni navali congiunte. Oltre alle parole, nulla, per ora.
Tra l’altro Modi – sempre per quel discorso di pochi nemici = tanti soldi da tutti – si è defilato anche dalla chiamata alle armi americana contro l’Isis, annacquando l’impegno indiano all’interno di una vaga cornice della lotta contro “il terrorismo”.
In sostanza, vista da qui, i cinque American Days di Modi sono stati un megaspot di propaganda indirizzato all’elettorato interno – “Avete visto che ganzo il nostro primo ministro? No come quell’altro, il vecchio professorone taciturno” – e coordinato alla perfezione dalla rete di “amici di Modi” in Usa: molti Non Resident Indians (Nri) che in Usa hanno fatto soldi e carriera, creando una rete di conoscenze e contatti (non credo ci sia una parola in hindi che spieghi così bene il concetto, in cinese c’è guanxi, ovvero “agganci, conoscenze”) che ora possono tornare comodi. Eesempio: molti dei 19mila spettatori al Madison Square Garden sono stati portati lì da altre parti degli Usa, con un servizio di corriere organizzato da gruppi tipo “Amici del Bjp in Usa”. Tutto gratis, ovviamente.
Se davvero Modi riuscirà a liberalizzare il mercato indiano, aprirlo completamente agli investimenti stranieri, i primi a catapultarsi in India per partecipare alla “rinascita” saranno proprio questi Nri: un po’ per patriottismo a distanza, molto perché le rinascite economiche – vere o presunte – sono quasi sempre un bel business per chi i soldi ce li mette, se si creano le condizioni adatte (leggi: se si investe sapendo che poi non salta fuori una legge per la tutela ambientale che mi blocca i lavori, o se si hanno garanzie che i contadini/lavoratori se ne stanno tranquilli e ci lasciano fare le nostre cose in santa pace).
5. E gli Usa come l’hanno accolto Modi?
L’hanno accolto, eufemismo, con un grande bah (come presumo accolgano quasi tutti i leader stranieri). La stampa americana non ha dato enorme risalto alla visita del primo ministro, se non, appunto, nei risvolti pop. In compenso due autori satirici sono andati a nozze con i tratti da puro entertainment che il team di comunicazione di Narendra Modi ha voluto utilizzare per le uscite pubbliche del proprio cliente.
Qui uno sketch di John Oliver, conduttore di Last Week Tonight su HBO, sul discorso a Central Park di Narendra Modi (dove ha salutato il pubblico con un “May the Force be with you” di Starwarsiana memoria).
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E qui invece il segmento del The Daily Show with Jon Stewart su Comedy Central, dove le performance di Modi al Madison Square Garden vengono paragonate al talent show “America’s Next Top Model”.
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Entrambi i video, virali su Youtube, sono una boccata d’aria fresca per chi non ha grandi simpatie, qui in India, per il nuovo primo ministro. Da quando ha vinto le elezioni, ridere di Modi pare sia un lusso che i media indiani non possono o vogliono prendersi.
In queste settimane di tour di Narendra Modi mi avete chiesto da varie parti un po’ di informazioni e opinioni circa i rapporti tra India e Giappone, Cina, Usa. Raccolgo qui cinque punti utili e semiseri che spiegano, spero, la politica estera di Modi e la sua fenomenologia mediatica.