“Hai votato per il cambiamento e ora cambiamento è arrivato”, così il neo presidente della Nigeria, Muhammadu Buhari, ha esordito nel suo primo discorso pubblico pronunciato ad Abuja presso la sede del suo partito, l’All progressives congress (APC).
Forse, però, è ancora presto per parlare di cambiamento avvenuto. Prima di farlo, il nuovo capo di Stato nigeriano, dovrà avviare una lunga serie di riforme che dovrebbero consentirgli di mantenere le promesse della campagna elettorale, prima fra tutte quella di dare lavoro e sicurezza agli oltre 170 milioni di nigeriani, molti dei quali sono ancora afflitti dalla piaga della povertà e dall’incubo del terrorismo islamista di Boko Haram.
Proclami a parte, la vittoria del 72enne ex generale è stata ampiamente celebrata dalla stampa nigeriana, che in molti casi l’ha definita di dimensioni ‘storiche’, non solo per l’ampio margine in percentuale di voti con cui Buhari ha sconfitto Goodluck Jonathan (53,2% contro 45,6%), ma soprattutto perché è il primo candidato dell’opposizione che dal 1999, data del ritorno della democrazia in Nigeria, sia riuscito a sconfiggere il presidente uscente.
Senza dubbio, si tratta di un’affermazione senza precedenti, che dimostra come il Paese più popoloso dell’Africa sia stato capace di cogliere positivamente la sfida di una democrazia resa più efficiente dal rigenerante meccanismo dell’alternanza.
La Commissione elettorale nazionale indipendente della Nigeria (INEC) ha dimostrato una discreta efficienza nell’assicurare il regolare svolgimento delle operazioni di voto, sulle quali, però, non sono mancati segnali di interferenze all’interno dei seggi. Ma il fatto che per la prima volta i risultati siano stati accettati sia dal vincitore sia dal perdente, è un ulteriore testimonianza della crescita democratica del Paese africano.
Grande soddisfazione ha manifestato anche il cardinale John Olorunfemi Onaiyekan, arcivescovo di Abuja, che ai microfoni della MISNA ha dichiarato: “da oggi possiamo camminare a testa alta, consapevoli che la Nigeria è l’unico Paese che può guidare l’Africa”.
L’entusiasmo sembra dunque prevalere, ma è giusto ricordare anche le ombre che pesano sulla carriera politica di Buhari, che “vanta” un passato da dittatore, consumato nei venti mesi a cavallo tra il dicembre 1983 e l’agosto 1985, durante i quali si insediò al vertice dello Stato dopo un golpe militare con cui destituì il presidente eletto Shehu Shagari.
Tuttavia, da quel tempo, lo scenario della Nigeria è profondamente cambiato perché adesso la Federazione è guidata da un sistema di governo civile e democratico. Va inoltre ricordato che prima della netta affermazione di martedì scorso, l’ex generale aveva riprovato per tre volte di seguito a tornare al governo. E lo ha fatto sempre democraticamente, presentandosi come candidato alle presidenziali del 2003, 2007 e in quelle del 2011, quando fu sconfitto proprio da Jonathan, oggi costretto a riconoscere la vittoria del suo rivale, con oltre due milioni e 500mila voti di differenza.
E’ significativo notare che Buhari e il suo APC hanno prevalso sul presidente in carica e il Partito democratico del popolo (PDP) in molti Stati chiave, soprattutto in quelli del nord, area di cui l’ex generale è originario, ma anche in alcuni del sud, fra cui quello di Lagos, al cui interno sorge l’omonima città, considerata il centro economico e culturale della Nigeria.
La vittoria di Buhari è stata netta, come dimostra l’affermazione in 21 Stati dei 36, più il distretto della capitale Abuja, che compongono la federazione nigeriana. E in alcuni dei territori sotto l’influenza di Boko Haram, come Borno e Yobe, ha ottenuto una vittoria plebiscitaria, conquistando rispettivamente circa il 92% e il 94% dei consensi.
Eclatante anche l’affermazione nello Stato di Kano, uno dei più grandi della Nigeria, dove l’ex generale ha ricevuto 1,9 milioni di voti contro i 215.800 di Jonathan, che ha invece prevalso nel distretto della capitale Abuja e con un margine molto più ampio, superiore al 90%, anche in alcuni stati meridionali, tra cui Delta, Rivers, e Bayelsa, sua zona di origine. Da notare, che l’ormai ex presidente ha rispettato i pronostici della vigilia nella quasi totalità degli Stati in cui era dato per favorito come Benue, Ondo e Kogi.
L’ampio margine con cui è stato eletto Buhari è la chiara risposta a cinque anni di mandato di Jonhatan, durante i quali l’insurrezione Boko Haram è cresciuta e la Nigeria, dopo essere diventata ufficialmente la più grande economia africana grazie a un rebasing del PIL, è sprofondata in una grave crisi finanziaria.
Per questo, adesso il nuovo presidente ha l’arduo compito di affrontare Boko Haram nel nord e rilanciare l’economia della Nigeria depressa dal crollo della naira, causato negli ultimi sei mesi dal dimezzamento delle quotazioni del petrolio che rappresenta il 20% del PIL, il 95% delle esportazioni e il 65% delle entrate governative.
L’uomo forte di Abuja dovrà poi cimentarsi con sfide annose come la lotta alla corruzione, il varo di politiche energetiche volte a contrastare il calo del greggio, lo sviluppo delle infrastrutture e la possibile recrudescenza di una ribellione nel sud ricco di petrolio, che per la stabilità economica della Nigeria potrebbe rivelarsi ben più devastante degli attacchi di Boko Haram.
Del resto, i trascorsi militari di Buhari sono stati il leitmotiv di tutta la campagna elettorale. Più volte, nel corso dei suoi comizi, ha citato il suo risolutivo impegno nella repressione del gruppo islamista Yan Tatsine, meglio conosciuto come Maitatsine, che nei primi anni ottanta devastò alcuni Stati del nord spianando la strada all’avvento del movimento islamista terroristico dei Boko Haram.
Secondo Elizabeth Donnelly, vice direttore del programma Africa presso Chatham House, l’istituto di ricerca politica più prestigioso del Regno Unito, la Nigeria deve aspettarsi in Buhari un leader radicalmente diverso da Jonathan. In virtù del suo passato nell’esercito, il neo presidente saprà rinsaldare l’alleanza regionale contro Boko Haram e sostenere una forte campagna militare. Ma potrebbe avere problemi sulle questioni economiche, di cui ha poca esperienza e che nel breve termine richiedono un ulteriore svalutazione della moneta locale per migliorare la posizione finanziaria nigeriana.
Per questo, secondo la ricercatrice londinese, Buhari dovrà delegare il delicato compito di prendere le decisioni economiche alle persone giuste.
“Hai votato per il cambiamento e ora cambiamento è arrivato”, così il neo presidente della Nigeria, Muhammadu Buhari, ha esordito nel suo primo discorso pubblico pronunciato ad Abuja presso la sede del suo partito, l’All progressives congress (APC).