La notizia è stata ripresa dai media americani, molto attenti a quanto accade quotidianamente in Cina. «Il Partito comunista cinese – ha scritto il New York Times, riprendendo una news lancitata dalla Xinhua – ha chiesto di porre fine agli obiettivi sugli arresti e sulle condanne chiesti alla polizia, ai pubblici ministeri e ai giudici». In pratica, non sono più dirimenti gli obiettivi numerici; è ora di concentrarsi sulla qualità. Un cambio di paradigma che avviene nel mondo giudiziario cinese e non solo.
Intanto cosa significa questa «indicazione» del Partito a polizia, giudici e mondo giudiziario? L’ansia del raggiungimento di un numero X di arresti o condanne ha creato una tale frenesia, che negli ultimi tempi il 100 per cento delle persone arrivate a processo è stato condannato. Un risultato che non dimostra – come si potrebbe pensare – l’esattezza del funzionamento giudiziario cinese, bensì il contrario. Impossibile ritenere che ogni arrestato si dimostri poi colpevole in sede processuale.
Secondo quanto comunicato dalla Xinhua, il Comitato politico e degli affari giuridici del Partito Comunista (che sovrintende alla polizia, ai pubblici ministeri e ai giudici) avrebbe dunque chiesto ai funzionari di abolire «con fermezza» gli obiettivi «di valutazione irragionevoli basati sul numero di detenzioni penali, tassi di arresto, tassi di accusa e di verdetti e casi di verdetti di colpevolezza», oltre a richiedere una diminuzione della pena per chi ammetta la propria colpa.

Questa decisione, questo invito, indica due cose. Una prima totalmente specifica al funzionamento degli apparati burocratici cinesi: la svolta verso uno stato di diritto, come ha voluto affermare l’ultimo Plenum del Partito comunista, passa anche attraverso questi passaggi.
C’è poi un rilievo più generale, che per certi versi conferma un tentativo costante negli ultimi tempi del paese, di passare dal concetto di quantità a quello di qualità, nei campi più disparati. Dalla crescita, dalla produzione, dall’innovazione, dai brevetti, dalla produzione universitaria, fino ad arrivare al livello di funzionamento del proprio apparato burocratico.
Non dimentichiamoci – infatti – che quest’ultima decisione del Partito sotto Xi Jinping, segue quella precedente di richiedere ai funzionari più attenzione alla qualità della propria amministrazione (in termini ambientali, di qualità della vita, ecc.) rispetto alla rincorsa, come avveniva in precedenza, degli obiettivi di Pil locale (circostanza che creava investimenti totalmente inutili).
E ora arriva il colpo alla giustizia. Comunque la si pensi, la Cina si muove. Immagina un mondo, un futuro diverso, almeno a livello di strutture e processi economici. L’importante, per ora, è che anche questo ennesimo storico passaggio sia guidato dal Partito.
@simopieranni
La notizia è stata ripresa dai media americani, molto attenti a quanto accade quotidianamente in Cina. «Il Partito comunista cinese – ha scritto il New York Times, riprendendo una news lancitata dalla Xinhua – ha chiesto di porre fine agli obiettivi sugli arresti e sulle condanne chiesti alla polizia, ai pubblici ministeri e ai giudici». In pratica, non sono più dirimenti gli obiettivi numerici; è ora di concentrarsi sulla qualità. Un cambio di paradigma che avviene nel mondo giudiziario cinese e non solo.