Il permesso – 48 ore fuori vede il ritorno alla regia di Claudio Amendola. Il titolo in questione s’incastra nel filone carcerario, cercando di apportare qualche elemento di novità. Quattro carcerati per diverse tipologie di reato nel carcere di Civitavecchia ricevono un permesso premio di quarantotto ore da trascorrere fuori dalla prigione.
I quattro provengono da ambienti differenti ed hanno differenti esperienze alle spalle, come diverse saranno le loro storie. C’è la ragazza ricchissima beccata con un importante quantitativo di cocaina (Valentina Bellè), c’è il giovane cattivo ed arrabbiato con il mondo (Luca Argentero), il ragazzetto finito dentro per rapina (Giacomo Ferrara) ed il vecchio ed esperto delinquente (Claudio Amendola).
Una volta fuori dal carcere, daranno il loro meglio od il loro peggio? Staranno con le loro famiglie? La realtà è una realtà dura, di sofferenza, di lacrime e degrado urbano.
Il film è positivo, ma non brilla in maniera particolare. Sono buone le interpretazioni di tutti gli attori, anche se ne emerge una teatralità troppo carica e sovente caricaturale dei vari personaggi. Non mi è piaciuta la sviolinata buonista in cui i due attori più giovani sembrano volersi amare, benché provenienti da classi sociali differenti e da mondi così lontani. L’ho trovata inutilmente irrealistica, messa lì tanto per dare speranza. Preferisco le storie più verosimili del vecchio Amendola e di un Luca Argentero al top della forma e con la faccia da vero cattivo. Stupenda la sua mimica ed il sopracciglio alzato da vero psicopatico, peccato per le musiche troppo incalzanti e peccato per la mancanza di profondità del suo character. La colpa, ripeto, non è dell’attore ma della sceneggiatura. Tutto risulta fisicamente credibile, ma privo di logica e spessore, privo di una storia.
Il film è positivo ma non si allontana dalla sufficienza, perdendo un’occasione. Le scenografie e le ambientazioni sono quelle della Roma in preda alle tenebre della malavita vista in Romanzo Criminale, in Suburra e in Lo chiamavano Jeeg Robot, mancando però il risultato dei titoli sopracitati. Questo per colpa di dialoghi troppo teatrali, troppo patetici, troppo puliti. Una pecca classica del cinema italiano.
@brillabbestia