Più del 75% della popolazione sub-sahariana percorre lunghe distanze per approvvigionarsi di acqua pulita per uso quotidiano, trasportandola dalle fonti fino alle proprie case. Gran parte di questo compito grava sulle spalle di 14 milioni di donne e 3 milioni di ragazze, per lo più adolescenti, costrette a compiere tragitti giornalieri di almeno mezz’ora.
È quanto emerge da un nuovo studio congiunto pubblicato su Plos One e condotto da ricercatori del Milken Institute School of Public Health presso la George Washington University e della Korea University.
I tre studiosi per realizzare la ricerca hanno esaminato la situazione in 24 paesi dell’Africa sub-sahariana, utilizzando una serie di dati elaborati da Banca mondiale, Unicef e dall’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale (Usaid).
Nello specifico, è emerso che in tutti i 24 paesi oggetto dello studio il trasporto dell’acqua è prevalentemente operato dalle donne. Un’attività molto faticosa ma indispensabile ad evitare l’uso di acqua sporca o contaminata, al cui consumo è legato, direttamente o indirettamente, l’80% delle malattie registrate nella regione che hanno conseguenze fatali soprattutto per i bambini.
L’analisi dei tre ricercatori rileva che un contenitore colmo di acqua pesa in genere tra i 18 e i 25 chili e la maggior parte delle donne hanno una capacità fisica ridotta rispetto agli uomini di trasportare carichi pesanti. Lo sforzo profuso consuma le già limitate energie e può causare diversi problemi di salute, ad esempio dolori spinali o artrite precoce causata dalla pressione sulle articolazioni maggiormente sollecitate nel trasporto.
Inoltre, è evidenziato che i lunghi tragitti, oltre a causare un notevole stress fisico, espongono le donne e le ragazze a gravi rischi come quello di subire abusi sessuali.
Lo squilibrio di genere riguarda anche i minori impiegati a questo scopo: il 62% delle ragazzine contro il 38% dei bambini maschi, mentre la salute dei più piccoli è ancora più a rischio per via dell’esposizione ad acqua sporca o di situazioni di carenza idrica.
Le ragazze per cercare l’acqua sono costrette a restare in strada fino a tarda sera oppure spesso ad alzarsi prima delle quattro del mattino. Questo aumenta la loro vulnerabilità e contribuisce all’incremento di gravidanze in età adolescenziale e del lavoro minorile.
L’Unicef individua in un compito così arduo una delle ragioni principali per cui i minori, in particolare le ragazze provenienti da famiglie povere, abbandonano la scuola. A riguardo, un rapporto dell’Agenzia Onu sul genere e sulla raccolta delle acque spiega che in Tanzania si è registrato un aumento del 12% della frequenza scolastica nelle zone dove l’acqua era reperibile a meno di 15 minuti di cammino rispetto a quando la distanza raddoppiava.
Da ciò, il report evidenzia l’importanza di costruire pozzi per ridurre il tragitto dalle fonti di acqua, consentendo a molte donne e ragazze di avere il tempo per lavorare, andare a scuola o svolgere qualsiasi altra attività.
Secondo lo studio, la situazione sarà resa ancor più critica dall’aumento del fabbisogno idrico che si amplierà in conseguenza della crescita della popolazione mondiale, che secondo le Nazioni Unite supererà i nove miliardi entro il 2050.
Un altro fattore che influirà in maniera molto negativa è determinato dai cambiamenti climatici, cui l’Africa sub-sahariana è particolarmente esposta. Un fenomeno che genera eventi estremi come la siccità diventata sempre più frequente e grave in Africa meridionale, che in combinazione con El Nino, il fenomeno naturale che riscalda le correnti del Pacifico tropicale, sta registrando pesanti ricadute sulla produzione agricola e sulle economie dell’area.
Le conclusioni dello studio ritengono che per risolvere il problema sia fondamentale affrontare la disuguaglianza di genere e riconoscere il lavoro non retribuito che le donne svolgono in tutto il mondo.
Nella quasi totalità degli studi sull’argomento, la dimensione della diseguaglianza di genere è totale mancante e per questo è molto importante computarla in attività come quella della raccolta dell’acqua in Africa.
Molto attinente a riguardo è l’esempio del Malawi, che la maggior parte degli studi sull’approvvigionamento idrico in Africa pongono in una condizione privilegiata determinata dal fatto che l’85% della popolazione ha accesso a fonti migliorate di acqua potabile. Ma se si prende in considerazione la raccolta dell’acqua in termini di disuguaglianza di genere, la valutazione dei progressi registrati dal piccolo Paese senza sbocco al mare non è affatto in linea con quella complessiva.
Per ogni 18 donne che in Malawi raccolgono l’acqua per le loro famiglie, c’è solo un uomo che si cimenta nella stessa attività di routine. E la disuguaglianza di genere è prevalente anche tra i bambini, con un rapporto ragazza-ragazzo di 10 a 1.
In definitiva, più di un milione di donne malawiane sono costrette a dedicare più di trenta minuti della loro giornata al reperimento del vitale liquido. Esattamente, la stessa situazione che si registra in Burundi, Camerun, Etiopia, Mozambico, Niger e Nigeria.
Più del 75% della popolazione sub-sahariana percorre lunghe distanze per approvvigionarsi di acqua pulita per uso quotidiano, trasportandola dalle fonti fino alle proprie case. Gran parte di questo compito grava sulle spalle di 14 milioni di donne e 3 milioni di ragazze, per lo più adolescenti, costrette a compiere tragitti giornalieri di almeno mezz’ora.