“Moderazione, speranza e prudenza” è lo slogan con cui Hassan Rohani ha vinto le elezioni del 14 giugno con il 50,7% dei voti. L’affluenza alle urne, il 75% circa, ha richiesto la proroga della chiusura dei seggi di cinque ore.

Il 3 agosto riceverà il testimone dal presidente uscente Ahmadinejad. In eredità una difficile situazione economica: disoccupazione a due cifre, inflazione al 32,3%, valuta locale svalutata del 50%, esportazioni di oro nero crollate per l’embargo petrolifero imposto nel luglio 2012 dall’Unione Europea e dovuto alla controversa questione nucleare.
In campagna elettorale Rohani non ha presentato un programma per rilanciare l’economia, ma ora la priorità sarà tenere sotto controllo l’inflazione con una politica monetaria diametralmente opposta rispetto a quella, populista, del suo predecessore. Due le misure da prendere, con l’approvazione del Parlamento e il rischio di malcontento popolare: la diminuzione dei sussidi in contanti alle famiglie (che hanno sostituito i sussidi indiretti all’energia e ai generi alimentari), e la riduzione dei prestiti a basso costo agli abitanti delle zone rurali. Andiamo con ordine, ed esaminiamo il profilo del nuovo Presidente della Repubblica islamica. Classe 1948, negli anni ’60 Rohani era finito in carcere per aver criticato lo scià, si dice sia stato il primo a chiamare l’Ayatollah Khomeini con il titolo di Imam; per vent’anni è stato deputato della Repubblica islamica, dal 1991 è membro del Consiglio dell’interesse nazionale e dal 1999 anche dell’Assemblea degli esperti, dal 1998 al 2005 è stato segretario del Consiglio di sicurezza e ha guidato i negoziati sul nucleare. Credenziali impeccabili.Tra i tanti incarichi, è direttore del Centro di ricerca strategica, un think-tank governativo da cui potrebbe venire il prossimo Ministro dell’Economia. Sebbene abbia raccolto accanto a sé tante speranze, soprattutto di giovani e donne (ma non solo), Rohani non è un riformatore. Il tratto principale del suo carattere è, da sempre, il pragmatismo: ai tempi dello scià, quand’era un semplice studente di teologia, aveva raggiunto Khomeini durante l’esilio in Iraq e non aveva esitato a togliersi il turbante per attraversare la frontiera senza dare nell’occhio.
Nella Repubblica islamica il pragmatismo è il criterio che guida le scelte: bisogna decidere nell’interesse della Nazione, anche a costo di calpestare i principi dell’Islam, come fece l’Ayatollah Khomeini accettando il cessate il fuoco con l’Iraq nel 1988. Il 3 agosto riceverà il testimone dal presidente uscente Ahmadinejad. In eredità una difficile situazione economica: disoccupazione a due cifre, inflazione al 32,3%, valuta locale svalutata del 50%, esportazioni di oro nero crollate per l’embargo petrolifero imposto nel luglio 2012 dall’Unione Europea e dovuto alla controversa questione nucleare. In campagna elettorale Rohani non ha presentato un programma per rilanciare l’economia, ma ora la priorità sarà tenere sotto controllo l’inflazione con una politica monetaria diametralmente opposta rispetto a quella, populista, del suo predecessore. Due le misure da prendere, con l’approvazione del Parlamento e il rischio di malcontento popolare: la diminuzione dei sussidi in contanti alle famiglie (che hanno sostituito i sussidi indiretti all’energia e ai generi alimentari), e la riduzione dei prestiti a basso costo agli abitanti delle zone rurali. Andiamo con ordine, ed esaminiamo il profilo del nuovo Presidente della Repubblica islamica. Classe 1948, negli anni ’60 Rohani era finito in carcere per aver criticato lo scià, si dice sia stato il primo a chiamare l’Ayatollah Khomeini con il titolo di Imam; per vent’anni è stato deputato della Repubblica islamica, dal 1991 è membro del Consiglio dell’interesse nazionale e dal 1999 anche dell’Assemblea degli esperti, dal 1998 al 2005 è stato segretario del Consiglio di sicurezza e ha guidato i negoziati sul nucleare. Credenziali impeccabili.Tra i tanti incarichi, è direttore del Centro di ricerca strategica, un think-tank governativo da cui potrebbe venire il prossimo Ministro dell’Economia. Sebbene abbia raccolto accanto a sé tante speranze, soprattutto di giovani e donne (ma non solo), Rohani non è un riformatore. Il tratto principale del suo carattere è, da sempre, il pragmatismo: ai tempi dello scià, quand’era un semplice studente di teologia, aveva raggiunto Khomeini durante l’esilio in Iraq e non aveva esitato a togliersi il turbante per attraversare la frontiera senza dare nell’occhio.
Nella Repubblica islamica il pragmatismo è il criterio che guida le scelte: bisogna decidere nell’interesse della Nazione, anche a costo di calpestare i principi dell’Islam, come fece l’Ayatollah Khomeini accettando il cessate il fuoco con l’Iraq nel 1988.Le scelte economiche di Rohani saranno necessariamente legate alla politica estera, prerogativa del leader supremo Khamenei con cui il Neo-Presidente dovrà collaborare per superare l’isolamento internazionale. In questa operazione, un primo passo sarà sostituire il corpo diplomatico imposto da Ahmadinejad con uomini competenti. Tra questi, vedremo probabilmente riaffiorare alcuni turbanti: dopotutto la vittoria elettorale di Rohani rappresenta la rivincita non solo dei moderati sugli integralisti ma anche del clero sui pasdaran e sulle teorie devianti di Ahmadinejad, entrato in conflitto
con gli Ayatollah sostenendo di poter parlare con il Mahdi (l’ultimo Imam sciit) senza la mediazione del clero. L’elezione del moderato Rohani rappresenta un’ovvia rottura rispetto ai due mandati di Ahmadinejad, il cui futuro resta un’incognita. Per ora il suo alleato Gholam Hossein Elham, portavoce del governo ancora in carica, si è limitato a dichiarare che “il Presidente tornerà insieme all’Imam scomparso”. Un’affermazione che fa riferimento alla teologia sciita ma ha suscitato le critiche e l’ilarità dell’establishment religioso della Repubblica islamica. Segno ulteriore che nei prossimi mesi saranno realismo e pragmatismo a traghettare l’Iran fuori dalla crisi. Il pragmatismo sarà importante anche in politica interna: perché la legittimità di un governo non viene solo dal voto popolare ma – come ha osservato l’avvocato iraniano Shirin Ebadi, Nobel 2003 per la Pace – dal concomitante rispetto dei diritti. Per questo già a luglio Rohani ha promesso di voler promuovere la giustizia e i diritti civili. Resta da vedere se riuscirà a far rilasciare Mir- Hossein Mousavi e Mehdi Karroubi, i leader del movimento verde agli arresti domiciliari (con le rispettive consorti) dal 14 febbraio 2011, quando avevano chiesto i permessi per una manifestazione a sostegno delle primavere arabe. Difficile prevedere il futuro di un paese tanto complesso come l’Iran, grande cinque volte e mezza l’Italia e con quasi ottanta milioni di abitanti. Non resta che attendere. Senza grandi entusiasmi ma con un filo di speranza. Alimentata dal fatto che il 21 giugno, nel primo incontro pubblico dopo l’esito elettorale, Rohani ha invitato sul palco la popolare attrice e regista Pegah Ahangarani, arrestata due volte per il suo sostegno ai riformisti. Vestita con abiti dai colori sgargianti, la ventinovenne ha chiesto a Rohani di nominare funzionari qualificati, onesti e competenti. Sarebbe un buon punto di partenza. Sulla scia dello slogan “Moderazione, speranza e prudenza” che gli ha permesso di vincere le elezioni.
“Moderazione, speranza e prudenza” è lo slogan con cui Hassan Rohani ha vinto le elezioni del 14 giugno con il 50,7% dei voti. L’affluenza alle urne, il 75% circa, ha richiesto la proroga della chiusura dei seggi di cinque ore.