L’ottimismo di Macri fa compiere agli Argentini piccoli passi verso un cambiamento che richiede tempo e costa sacrificio. È “il cammino del progresso”.
“Sono ottimista. Se un anno fa vi avessi detto tutto ciò che avremmo fatto, la maggioranza avrebbe votato per rinchiudermi in un manicomio. Eppure eccomi qui, sono il Presidente”. Questa non è esattamente il tipo di frase che si vorrebbe sentire pronunciare dal proprio Presidente della Repubblica. Soprattutto in un momento di crisi profonda. Mauricio Macri, nei primi mesi di mandato, però, ha già dimostrato di essere così: ironico ma talvolta infelice. Per alcuni fin troppo sincero.
In Argentina lo chiamano “sincericídio”, un termine informale che unisce l’aspetto positivo della sincerità con il danno di un omicidio/suicidio. A Carlos Menem − il presidente peronista dalle tendenze liberiste che fece da tragico antipasto all’era dei cartoneros e della crisi del 2001 − era imputato lo stesso difetto. Le somiglianze, però, non si limitano agli atteggiamenti personali, collimando in diverse azioni di governo. Menem mise da parte il tradizionale programma populista del peronismo e diede vita a una nuova politica economica per contenere l’iperinflazione che assillava Buenos Aires prima degli anni ‘90. Sì aprì alla concorrenza dei mercati internazionali; cercò alleati nell’establishment economico; avviò le grandi privatizzazioni, vincolando il peso argentino al dollaro. Si avvalse, a più riprese, del decreto di “necesidad y urgencia” (simile al decreto legge, ndr), scavalcando il Congreso. Menem, da un certo punto di vista, fece sue le direttive del cosiddetto Washington Consensus, che giudicava l’Argentina troppo protettiva verso alcuni settori produttivi.
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L’ottimismo di Macri fa compiere agli Argentini piccoli passi verso un cambiamento che richiede tempo e costa sacrificio. È “il cammino del progresso”.