La videoconferenza di ieri in occasione della festa della Repubblica, coi due fucilieri di Marina Latorre e Girone in collegamento live dall’ambasciata a New Delhi, mostra la frustrazione – giustificata! – di due soldati incastrati in un caso molto più grande di loro (e delle nostre beghe italiote). Facciamo il punto.

Gli attestati di vicinanza e stima da parte della classe politica nazionale, un po’ stantii e un po’ di circostanza, dovevano aiutare a rinvigorire il morale di due persone bloccate in India da quasi due anni e mezzo, sospettate di duplice omicidio, che ancora affrontano un futuro incerto. Impossibile prevedere con precisione quando finirà la diatriba del caso Enrica Lexie e ieri, per la prima volta a mia memoria, i due sottufficiali hanno mostrato che la propria pazienza sta cominciando davvero ad esaurirsi. Merito di Salvatore Girone, il primo a rompere con veemenza il protocollo del servitore dello stato impassibile che ha caratterizzato questi due anni di braccio di ferro diplomatico, seguito – con maggiore misura ma identica frustrazione – da Massimiliano Latorre.
Tra le pieghe un po’ propagandistiche, aggiungendo gli elementi già a disposizione, nel merito della vicenda i punti salienti dovrebbero essere i seguenti.
– Ricerca del dialogo: con l’insediamento del nuovo governo Modi e di una nuova maggioranza parlamentare, gli spiragli per riallacciare il dialogo sia a livello parlamentare che a livello diplomatico sono aumentati. Si tratta dell’opzione velatamente auspicata sia dai due marò che dall’ambasciatore Mancini e, di certo, se andasse in porto significherebbe avvicinarsi alla risoluzione del contenzioso – che, ricordiamo, si basa ancora sulla giurisdizione concorrente, al di là del merito degli spari e della morte di Ajesh Binki e Valentine Jelastine – più spedita. Un accordo sull’asse New Delhi-Roma, lasciando da parte gli iter burocratici e giuridici, permetterebbe di raggiunere l’obiettivo primario del governo Renzi: riportare a casa i marò.
– Richiesta dell’arbitrato internazionale: si tratta di un processo formalmente già avviato da parte italiana che, sostanzialmente, vuole ribadire la completa sovranità italiana sull’operato dei propri militari all’estero (il principio dell’immunità funzionale anche, e questo è il nodo complicato, quando facenti veci di contractor, in virtù di una missione internazionale unilaterale di cui l’India, nel nostro caso, non riconosce né la legittimità all’interno di acque che considera “sue”, né soprattutto la necessità: lungo le coste del Kerala i pirati non ci sono). Sulla stampa si legge che, di media, una risoluzione tramite l’arbitrato internazionale richiede dai due ai quattro anni di attesa: un tempo enorme che, si spera, sarà risparmiato sia ai marò che alle relazioni bilaterali italo-indiane.
– Internazionalizzazione del caso: ovvero, raccogliere sostegno da parte di Onu (difficile), Nato (fatto), Ue (fatto ma sostegno debole) e – spera Roma – Usa (non pervenuti) per fare pressioni sull’esecutivo indiano. Dal mio punto di vista, un azzardo rischiosissimo avendo a che fare con un governo di stampo nazionalista, eletto con consenso plebiscitario da una popolazione che vuole un’India forte e rispettata dalla comunità internazionale. Mettere alle strette, con pressioni politiche, un leader autoritario e osannato come Narendra Modi potrebbe sortire un ulteriore irrigidimento della posizione indiana. Modi ora è sotto i riflettori della comunità internazionale e del suo popolo, non può permettersi di fare la figura del debole.
Il più grande ostacolo rimane il disinteresse totale da parte indiana di rilanciare pubblicamente la vicenda. Il caso marò, occorre ribadirlo, qui in India è un non-caso: non se ne parla, nessuno se ne occupa pubblicamente, è stato citato di striscio una sola volta in una campagna elettorale al vetriolo, la quasi totalità dell’opinione pubblica indiana non sa nemmeno se i marò sono ancora nel paese, se sono in carcere o in ambasciata, nemmeno si ricorda quali siano i crimini per i quali sono sospettati. La cosa migliore, in linea con quanto tessuto dall’ex inviato speciale De Mistura, sarebbe continuare il dialogo sottotraccia lontano da stampa, telecamere, proclami politici con secondi fini locali (M5S e Fratelli d’Italia su tutti, in questo momento), sperando in un governo più accondiscendente rispetto a quello dell’Indian National Congress (speranza che, al momento, non ha alcun elemento comprovante).
Il processo, attualmente, è congelato fino alla fine di luglio. Come solito, e son due anni e mezzo, tocca aspettare e avere fiducia nella diplomazia, sperando che sia in grado di raddrizzare una situazione nata male e gestita, se possibile, ancora peggio da entrambe le parti.