
Divisi nel calcio, uniti per la libertà: sugli spalti della Donbass Arena i tifosi intonano lo stesso inno.
Era stato costruito come il più grande stadio dell’Europa orientale, il simbolo di una nazione giovane, politicamente e sportivamente, che si affacciava al mondo con la conquista di Euro-2012. Oggi sotto gli spalti della Donbass Arena vengono stipati sacchi di farina e casse di carne in scatola, e nel parcheggio Vip si affollano i volontari. Nell’Est ucraino c’è la guerra, lo Shakhtar, titolare dello stadio, è fuggito a giocare altrove, e il padrone della squadra, l’oligarca Rinat Akhmetov, ha trasformato l’arena in un centro di raccolta di aiuti umanitari. Quattro squadre del Donbass – lo Shakhtar, il Metalurh e l’Olimpik di Donetsk e il Metalurh di Luhansk, le due città maggiori in mano ai separatisti filorussi – giocheranno la stagione fuori casa, lontano dalla guerra.
Due squadre della Crimea, la Tavriya Simferopol primo campione nazionale della storia e il Sevastopol, sono uscite dal campionato loro malgrado per entrare a far parte della Lega calcio della Russia, annesse insieme alla penisola.
L’Arsenal di Kiev è fallito più di un anno fa, e la situazione economica del Paese non lascia sperare in una sua prossima rinascita. Le star brasiliane e argentine scappano, o almeno cercano di scappare, mentre Edmar de Lacerda, centrocampista del Metalist di Kharkiv, dopo aver preso la cittadinanza ucraina si è visto recapitare a casa una cartolina che lo chiamava a combattere i separatisti nell’Est. Il campionato si è ridotto a 14 squadre in grado di avere i mezzi logistici e finanziari per competere in un campionato che, come tutto il Paese, è sull’orlo della bancarotta.
I cambiamenti nel campionato ucraino riflettono il terremoto politico vissuto nell’ultimo anno. Lo Shakhtar, squadra simbolo dell’Est industriale e russofono nostalgico delle glorie sovietiche, ha traslocato nella Arena Lviv, dall’altra parte del Paese, nella Leopoli capitale del nazionalismo dove i Russi – arrivati nel 1939 con il patto Molotov- Ribbentrop – sono considerati colonizzatori.
La mossa non è dettata solo dalla convenienza – Akhmetov può permettersi l’affitto dello stadio costruito per l’Euro-2012 e rimasto vacante perché la squadra locale, Karpaty, non riesce a pagarlo – ma anche dal desiderio dell’oligarca di prendere le distanze dai Russi e mostrare di essere leale all’idea dell’indipendenza ucraina. E pochi terreni come il calcio offrono la possibilità di un’operazione politica di questo tipo.
La tifoseria ucraina è stata uno dei motori della rivolta sul Maidan, e anche nelle altre piazze del Paese gli ultrà sono stati protagonisti. Il canto “Putin c…”, inventato dai fan del Metalist, è diventato un tormentone in Internet, una suoneria per telefonini, e un inno della protesta passato dagli spalti alle piazze. Gli scontri più pesanti nel braccio di ferro tra l’ex Presidente Viktor Janukovyč e i manifestanti si sono svolti alle porte dello stadio della Dinamo Kiev. La tragedia di Odessa, il 2 aprile 2014, finita in un rogo con 48 vittime, è nata dagli scontri dei filorussi con un corteo di ultrà pro ucraini.
La peculiarità della situazione è che la spaccatura che ha attraversato il Paese, non si è riprodotta nella tifoseria. Che anzi ha visto sopite le vecchie rivalità in nome di alleanze sorprendenti, come quelle tra il Metalist di Kharkiv e il Dnipro di Dnipropetrovsk, ai ferri corti da sempre.
I fan dell’Arsenal di Kiev erano gli unici a dichiararsi apertamente “antifascisti” e a scontrarsi, ideologicamente e fisicamente, con le tifoserie razziste, come i White Boys della Dinamo Kiev e soprattutto i bianco-verdi dei Karpaty (che non solo animano le trasferte più colorite e ispirate ai simboli nazionali dei quali si ritengono gli autentici custodi, ma sono stati anche segnalati per svastiche sugli spalti).
I militanti anarchici e neo-socialisti dell’Arsenal erano sul Maidan insieme ai nazionalisti di Leopoli, e i ragazzi del Metalist e del Dnipro si sono schierati senza esitazione a favore dell’Ucraina in città a maggioranza russofona come Kharkiv e Dnipropetrovsk. Un’alleanza che ha superato differenze linguistiche, culturali e sociali, un fenomeno che ha già attirato l’attenzione dei sociologi. La tifoseria in Ucraina, come in molti altri Paesi dell’Est (e non solo), è spesso razzista (con l’unica eccezione dell’Arsenal) come sanno bene i giocatori di colore, e attacchi xenofobi sono stati il timore della Fifa alla vigilia dell’Euro-2012.
Forse proprio il tribalismo degli ultrà ha fatto prevalere, nel conflitto con la Russia, il sentimento nazionale, e nazionalista, anche nelle tifoserie di origine russa. Producendo anche un’inversione di ruoli insolita.
Come nota la BBC in un’inchiesta sul fenomeno degli ultrà ucraini, oggi un fan calcistico viene associato “non a un hooligan pieno di birra, ma a un difensore dei diritti e delle libertà”. Un’immagine paradossale nella quale gli ultrà ucraini cominciano a riconoscersi: una scritta contro i gay sul lungofiume di Kiev è stata coperta dagli stessi fan, perché l’omofobia viene associata al putinismo e quindi diventa politicamente scorretta sul Maidan che inneggia all’Europa.
Una trasformazione che potrebbe espandersi anche ad altri paesi: a ottobre decine di ultrà bielorussi e ucraini sono stati arrestati a Minsk, dopo aver inneggiato alla fratellanza tra i loro Paesi durante la partita delle due Nazionali, per unirsi infine nel coro di “Putin c…”.
I Bielorussi, circostanza abbastanza insolita nel regime di Aleksandr Lukašenko, se la sono cavata soltanto con una multa. Gli Ucraini, arrestati per ubriachezza molesta e linguaggio osceno, sono stati liberati per diretta intercessione del Presidente ucraino Petro Porošenko. Il calcio in Ucraina è ormai affare di Stato.
Divisi nel calcio, uniti per la libertà: sugli spalti della Donbass Arena i tifosi intonano lo stesso inno.