Nei primi mesi di governo, Faye e il suo partito si sono mostrati molto più moderati di quanto era lecito attendersi e di certo non hanno portato la rivoluzione che avevano promesso. Soprattutto per quanto riguarda i rapporti con la Francia.
Sono passati ormai quattro mesi da quando, a fine marzo, in Senegal si sono tenute le elezioni e Bassirou Diomaye Faye è stato eletto nuovo presidente. Ma da allora lo stato dell’Africa occidentale sembra essere finito in un cono d’ombra. L’attenzione verso Dakar è scemata velocemente all’indomani del voto, dopo che ad inizio anno il Paese era finito invece sotto i riflettori. E i media internazionali hanno trovato uno spazio limitato, quando non nullo, per descrivere le sue dinamiche politiche e le prime azioni del nuovo governo.
Non si tratta di un caso, ma di una diretta conseguenza di quanto accaduto in occasione delle elezioni e nei mesi immediatamente successivi. Da un anno a questa parte, gli osservatori internazionali erano preoccupati che l’ex presidente Macky Sall potesse continuare ad erodere le libertà politiche in Senegal, candidandosi per un terzo mandato o ponendo ai vertici del Paese un suo alleato. Alla fine, tuttavia, le proteste popolari hanno costretto Sall a rinunciare ad una candidatura – che era anche espressamente vietata dalla Costituzione. E l’insoddisfazione verso l’ex leader e le sue manovre politiche ha portato ad un chiaro successo delle forze guidate da Faye e da Ousmane Sonko, fino a quel momento leader dell’opposizione.
La prospettiva di un’alternanza al potere non lasciava comunque indifferenti. Faye e Sonko appartengono infatti a Pastef, una formazione politica con tendenze sovraniste e antioccidentali, che non aveva fatto mistero di voler rivedere radicalmente i rapporti tra il Senegal e la Francia. Una parte dell’attenzione che i media rivolgevano al Paese africano era quindi dettata dal timore che le elezioni avrebbero portato il Paese ad allontanarsi dall’Occidente, seguendo l’esempio di Burkina Faso, Mali e Niger. Anche questo, però, non è avvenuto.
Nei loro primi mesi di governo, Faye e il suo partito si sono mostrati molto più moderati di quanto era lecito attendersi e di certo non hanno portato la rivoluzione che avevano promesso. Soprattutto per quanto riguarda i rapporti con la Francia: da marzo ad oggi Dakar non è arrivata allo scontro con Parigi, né sembra volerlo fare a breve.
Il nuovo presidente e i suoi alleati non hanno smesso di dirsi favorevoli ad una revisione del legame con la Francia, per renderlo più giusto ed equilibrato, né al ritiro delle truppe transalpine dal territorio senegalese. Al tempo stesso, però, hanno mostrato un’apertura al dialogo e la volontà di procedere senza strappi. A giugno, Faye si è recato all’Eliseo per confrontarsi con il presidente francese Emmanuel Macron su una serie di questioni aperte. E relativamente alla più importante tra queste, ossia il ritiro dei militari francesi, ha sottolineato come i cambiamenti nel rapporto tra Francia e Senegal debbano essere discussi “con calma e in modo amichevole”. “Non credo che oggi ci sia bisogno di arrivare a rotture brutali, chiunque sia il partner” ha aggiunto.
Più che sulla relazione con l’ex potenza coloniale, il nuovo governo si è concentrato sui problemi interni al Paese, in particolare sul costo della vita. Negli ultimi tre anni, in Senegal è aumentato enormemente il prezzo di una serie di beni alimentari che vengono importati e che sono di uso quotidiano, come riso, olio raffinato e zucchero. L’inflazione ha colpito duramente la popolazione, che ha votato per Faye ed il suo partito anche nella speranza di un miglioramento della situazione economica. A giugno, il presidente ha effettivamente annunciato di aver ottenuto una riduzione dei dazi su vari prodotti, con l’obiettivo di portare ad un abbassamento generale dei prezzi. Si tratta però di un cambiamento che dipende da molti fattori e che sarà difficilmente controllabile dal potere centrale.
Infine, Faye e il suo governo si sono impegnati per cercare di trovare delle soluzioni all’instabilità politica che da tempo colpisce l’Africa occidentale. Dal momento in cui è stato eletto, il Presidente si è adoperato in particolare per cercare di risolvere la crisi interna all’ECOWAS e per riprendere il dialogo con Niger, Mali e Burkina Faso. Le tensioni erano scoppiate dopo il colpo di stato in Niger, quando l’organizzazione regionale dell’Africa Occidentale aveva minacciato di intervenire militarmente nel Paese per riportare l’ordine costituito. In seguito i tre stati saheliani – che sono guidati da giunte militari – avevano dichiarato la loro uscita dall’ECOWAS. Faye vorrebbe agire da mediatore per riavvicinare le parti, sfruttando il fatto di essere stato eletto dopo lo scoppio delle tensioni interne all’organizzazione e la sua vicinanza alle giunte militari sui temi del sovranismo. Al momento, però, la distanza tra i tre stati e il resto del blocco sembra essere ampia e difficile da colmare.
Sono passati ormai quattro mesi da quando, a fine marzo, in Senegal si sono tenute le elezioni e Bassirou Diomaye Faye è stato eletto nuovo presidente. Ma da allora lo stato dell’Africa occidentale sembra essere finito in un cono d’ombra. L’attenzione verso Dakar è scemata velocemente all’indomani del voto, dopo che ad inizio anno il Paese era finito invece sotto i riflettori. E i media internazionali hanno trovato uno spazio limitato, quando non nullo, per descrivere le sue dinamiche politiche e le prime azioni del nuovo governo.
Non si tratta di un caso, ma di una diretta conseguenza di quanto accaduto in occasione delle elezioni e nei mesi immediatamente successivi. Da un anno a questa parte, gli osservatori internazionali erano preoccupati che l’ex presidente Macky Sall potesse continuare ad erodere le libertà politiche in Senegal, candidandosi per un terzo mandato o ponendo ai vertici del Paese un suo alleato. Alla fine, tuttavia, le proteste popolari hanno costretto Sall a rinunciare ad una candidatura – che era anche espressamente vietata dalla Costituzione. E l’insoddisfazione verso l’ex leader e le sue manovre politiche ha portato ad un chiaro successo delle forze guidate da Faye e da Ousmane Sonko, fino a quel momento leader dell’opposizione.