Il Sogno dell’Unione Federale
All’Europa serve un’altra grande ambizione, come furono il traguardo dell’Euro o della riunificazione, e come può essere nei prossimi 10 anni l’idea dell’Unione federale.

Giuseppe Scognamiglio, nato a Napoli il 16 luglio 1963. Diplomatico, Manager, Giornalista, Professore. Direttore della rivista eastwest
All’Europa serve un’altra grande ambizione, come furono il traguardo dell’Euro o della riunificazione, e come può essere nei prossimi 10 anni l’idea dell’Unione federale.
Ci vuole coraggio politico. Partendo dalla premessa che non è possibile fare tutto e farlo subito, i leader europei dovrebbero almeno fissare da subito le tappe significative e chiarire l’obiettivo finale che si vuole raggiungere. Senza progettualità e chiarezza non ci può essere credibilità, né ci si può attendere sostegno da parte dei cittadini.Ma affinché l’Europa si dia un nuovo importante obiettivo, che sia sostenuto dai cittadini, è necessaria una nuova narrazione: l’Unione europea manca di una chiara narrazione politica e questo è in parte il motivo per cui il sostegno pubblico è così in declino. La narrazione europea però deve anche offrire suggestioni, sogni ed aspirazioni. Una narrazione risulta potente se tocca le corde più profonde delle persone, se sopravvive indipendentemente dal periodo storico e dalle circostanze economiche, se ispira i cittadini a sentirsi parte di un progetto e se permette loro di identificarsi in quel progetto. Per farlo, per offrire suggestioni, visioni ed aspirazioni ad un progetto più ampio quale potrebbe essere quello dell’Unione federale, gli europei devono sentirsi parte di questo progetto. E per essere parte del progetto i cittadini devono capirne l’importanza. Ma per capirne l’importanza è necessario che il deficit di informazione che caratterizza l’ambito europeo sia affrontato comunicando in modo più chiaro con i cittadini su come l’UE migliori la loro vita quotidiana (diritti, opportunità, benefici) e su quale potrebbe essere il costo della “non- Europa” per le loro vite. Le politiche nazionali non possono avere alcuna efficacia se non inserite in un contesto europeo: la nuova narrazione politica dovrebbe contribuire a spiegare ai cittadini che nessuna delle misure necessarie a garantire relazioni pacifiche, prosperità economica, elevati standard di vita, democrazia e diritti civili, giustizia sociale e tutti gli altri benefici derivanti dall’integrazione europea, possono essere oggi perseguiti a livello nazionale. Le politiche nazionali non possono avere alcuna efficacia se non inserite in un contesto europeo.Dobbiamo dunque cominciare a pensare come fossimo un unico attore globale, al fine di sfruttare il potenziale della nostra economia, che in fin dei conti non dimentichiamolo, è la terza area più popolata del mondo. L’Europa conta infatti più di 500 mln di abitanti, dopo Cina ed India. Anche se nella classifica mondiale del PIL, le prime tre economie mondiali sono Stati Uniti, Cina e Giappone, mentre Germania, Francia e Italia sono classificate solo al 4 °, 5 ° e 8 °, l’Unione europea – se considerata nel suo insieme – ricopre indiscutibilmente il 1 ° posto al mondo come prima economia mondiale. Per sfruttare questo indiscusso vantaggio dobbiamo completare il progetto europeo che i padri fondatori dell’Unione europea e leader visionari come Robert Schuman ci hanno lasciato in eredità. Ora è il momento di agire con delle riforme audaci in grado di ridefinire la nuova architettura istituzionale dell’Unione Europea. Ci vuole più integrazione, le 4 Unioni (economica/monetaria, bancaria, fiscale, politica):per superare la crisi,l’unica strada percorribile è quella di un decisivo passo in avanti dell’architettura istituzionale dell’Unione Economica e Monetaria, verso un’autentica integrazione economica, fiscale e politica. Accanto all’Unione Economica e Monetaria dunque, l’idea di creare l’Unione Bancaria nasce dall’esigenza di disinnescare il circolo vizioso tra rischio paese e rischio bancario, che sta paralizzando la capacità degli istituti finanziari di sostenere la ripresa economica. Sarebbe importante procedere anche verso un’Unione fiscale e poi anche politica, magari aumentando progressivamente il bilancio comunitario dall’attuale risicato 1% del PIL europeo ad un 2-3%, che consenta ad un Governo europeo di condurre politiche anticicliche, nonché di far fronte a eventuali shock economici asimmetrici, che colpiscono solo alcune regioni/Stati, come sta accadendo in questi anni con i paesi periferici della zona euro. Negli stati federali – accanto ai bilanci statali – esiste un bilancio federale. Il bilancio federale consente l’assorbimento sia degli shock aggregati sia di quelli che colpiscono alcuni stati. Questo permette un miglior consumption smoothing, cioè il mantenimento di un livello costante di benessere perché si attenuano le differenze di consumo nel tempo in presenza di shock negativi. Il rapporto McDougall, del 1977, arrivò alla conclusione che un bilancio federale (escludendo la difesa) dovrebbe attestarsi sul 2-2,5% del PIL, visto che “una politica fiscale comunitaria per la stabilizzazione è un elemento chiave in qualsiasi programma di integrazione monetaria europea”. L’integrazione è un processo dinamico: se guardiamo gli Stati Uniti, vediamo che hanno rafforzato l’unione in diverse fasi, ad ogni tappa generando la successiva. Nei giorni bui della crisi, molti commentatori americani hanno guardato all’area dell’Euro convinti che fallisse, soprattutto per via delle criticità degli stati del sud. Si sbagliavano nella loro macro-visione di medio termine. L’area Euro ha creato 600.000 nuovi posti di lavoro più degli Stati Uniti dal 1999. Inoltre, hanno sottovalutato la profondità dell’impegno degli europei per l’Euro. Hanno scambiato l’Euro per un regime di cambi fissi, mentre si tratta di una moneta unica irreversibile. Ed è irreversibile perché è nata dall’impegno delle nazioni europee verso una maggiore integrazione – un impegno che, come il Comitato del Nobel ha riconosciuto l’anno scorso – ha radici nel nostro desiderio di pace, di sicurezza e di trascendere le differenze nazionali. Spagna ed Italia, moderata ripresa: per il Commissario Ue agli Affari economici Olli Rehn, la crescita economica spagnola è già ripartita nel terzo trimestre del 2013, mentre quella italiana è prevista nel quarto trimestre. A seguito di nove trimestri di crescita negativa (-1,6% nel 2012 e una contrazione stimata dell’1,3% nel 2013), l’economia spagnola sembra infatti aver intrapreso una moderata ripresa visibile già in questa seconda metà del 2013. Dati preliminari indicano che il PIL, spinto dalla crescita delle esportazioni ed una certa stabilizzazione nel mercato del lavoro, dovrebbe raggiungere un +0,5% nel 2014 per poi accelerare nel 2015 all’+1,7%. Il tasso di disoccupazione spagnolo rimane ancora inaccettabile: 25,3% nel 2015. E’ recente anche la notizia comunicata dal Presidente dell’Eurogruppo Dijsselbloem (14 novembre) dell’uscita della Spagna da gennaio 2014 dal piano di assistenza finanziaria Ue, in concomitanza anche alla fine del programma di aiuti finanziari per l’Irlanda. Il ritorno al mercato avverrà da dicembre per l’Irlanda e da gennaio per la Spagna. Le due “promozioni” sono state considerate una vittoria da Spagna ed Irlanda, ma l’uscita dal “salvataggio comunitario” è stata valutata come una conquista anche dall’Ue. Minore competitività significa meno crescita: i tassi di crescita dell’UE sono strettamente correlati ai differenziali di competitività che si sono accumulati nei vari paesi negli anni prima della crisi. I paesi che scarseggiano negli indici di competitività internazionali sono anche quelli che sono cresciuti di meno. (Global Competitiveness Index 2014: Italia 49° posto, Spagna 35° rispetto a Danimarca 12°, Germania 4°. Doing Business 2014: Italia 65°, Spagna 52°, Danimarca 5°). Correlazione inversamente proporzionale tra accesso ad internet e crescita: se infatti osserviamo gli indicatori del potenziale di crescita di un paese, tra cui l’OCSE in suo ultimo studio annovera – l’accesso a internet o le competenze in matematica – esiste una forte correlazione tra la crescita dei paesi dell’Eurozona e questi indicatori. Per esempio i paesi con minore accesso a internet sono quelli che si sono dovuti impegnare in un maggiore sforzo a favore del consolidamento di bilancio. Non a caso se si guarda alla statistica europea (Internet World Stats 2012), i paesi oggi in maggiore difficoltà economica sono tutti Paesi con il più basso tasso di penetrazione Internet: Grecia (46,9%), Italia (58,7%), Spagna (65,6%), Irlanda (66,8%). La Germania ha invece un tasso pari a 82,7%, così come la Gran Bretagna (84,1%), per non parlare dei paesi scandinavi dove il tasso è prossimo al 90%. E’ solo un caso che al differenziale internet corrisponda un proporzionale differenziale economico? Le statistiche dicono che dove c’è più internet c’è più economia. Il rischio però è che se la parte più debole dell’Europa muore con essa muore anche quella più forte: non dimentichiamo che se noi moriamo anche il 69% delle esportazioni tedesche, che come sappiamo sono dirette verso paesi europei, muore.Secondo i dati più recenti pubblicati dall’Ufficio di Statistica tedesco, Destatis, nel 2012 circa il 69% delle esportazioni di beni “made in Germany” ha avuto come mercato di sbocco paesi europei e il 57% delle esportazioni tedesche ha avuto come mercato di sbocco Paesi membri dell’Unione europea. Pessimismo intellettuali è eccessivo: uno storico britannico -Sir John Bagot Glubb – nel suo libro del 1978 “Il destino degli imperi e la ricerca per la sopravvivenza” ha individuato le caratteristiche comuni a tutti gli imperi nelle fasi di declino, come ad esempio: il crescente individualismo ed il crescente pessimismo rintracciabile nella società sia tra i cittadini sia tra i loro leader. Se è vero che l’Europa oggi vive una fase di difficoltà, la cui conseguenza più immediata è la sfiducia dei cittadini, è altrettanto vero che il pessimismo riguardo al futuro dell’Europa di molti politici ed intellettuali ( il cui compito invece dovrebbe essere di fornire soluzioni e offrire speranze) è decisamente imperdonabile. Crisi come opportunità per ridisegnare l’Europa: trasformare la crisi economica in un’opportunità è il compito che spetta alla politica e solitamente è nei momenti di crisi che si è in grado di attuare quella “distruzione creativa schumpeteriana”, grazie alla quale nascono soluzioni innovative. Questa fase richiede scelte lungimiranti. Solo se sapremo prendere decisioni coraggiose potremmo superare questo momento. E’ nei momenti di crisi che si è maggiormente disposti a cogliere l’opportunità per cambiare. L’Europa ha un’opportunità enorme, perché appunto di enormi proporzioni è la crisi fiscale, finanziaria ed economica che stiamo attraversando. Questo è un momento cruciale, possiamo decidere di sfruttare questa finestra di opportunità per uscirne con un’Europa rafforzata oppure sprecare questa crisi illudendoci di aver fatto ognuno l’interesse del proprio paese quando in realtà così facendo saremo finiti in un “gioco a somma zero”, dove non esistono né vincitori né vinti. Ai leader politici spetta essere visionari: il fatto che alcune soluzioni appaiano oggi al di là degli orizzonti politici dipende talvolta dalla incapacità della classe politica di essere visionaria, ovvero di guardare più lontano e di convincere i loro stessi elettori che guardare lontano conviene a tutti, come avevano saputo fare i padri dell’Europa, Adenauer, Schumann, De Gasperi in un periodo storico in cui la diffidenza tra europei era almeno giustificata dalle ferite ancora aperte da due guerre devastanti. Vorrei concludere rispondendo ai pessimisti ed agli scettici prendendo a prestito le parole, di uno dei maggiori innovatori del nostro secolo, un visionario e un passionario (qualità che dovrebbero possedere tutti i politici che si definiscono tali):“Dedicato ai folli, agli anticonformisti, ai ribelli, ai piantagrane, a tutti coloro che vedono le cose in modo diverso…Potete citarli, essere in disaccordo con loro, potete glorificarli o denigrarli. Ma l’unica cosa che non potrete mai fare loro, è ignorarli. Perché riescono a cambiare le cose, perché fanno progredire l’umanità. E mentre qualcuno potrebbe definirli folli, noi ne vediamo il genio. Perché solo coloro che sono abbastanza folli da pensare di poter cambiare il mondo, lo cambiano davvero.” Steve Jobs
All’Europa serve un’altra grande ambizione, come furono il traguardo dell’Euro o della riunificazione, e come può essere nei prossimi 10 anni l’idea dell’Unione federale.
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