Una volta macchina militare temibile, ora la Germania non è più preparata a combattere.
Da tempo, e di nuovo con l’aggravarsi dei conflitti in Ucraina, in Iraq e Siria, c’è malcontento nella Nato e da parte degli Stati Uniti per la riluttanza tedesca ad assumersi maggiori responsabilità in ambito militare. Mancano precise linee guida “su come debba configurarsi la nostra politica di sicurezza e difesa” affermava un veterano tedesco.
E’ una mancanza di chiarezza che in alcune situazioni, come in Afghanistan, ha costretto a correre ai ripari, perché i soldati tedeschi erano sotto equipaggiati rispetto alle esigenze tattiche.
Questa riluttanza si spiega in parte con la storia recente ma esiste anche la paura dei politici di perdere voti nel mostrarsi interventisti.
Gli unici che non sembrano porsi il problema sono i Verdi, che hanno sostenuto l’invio di armi ai peshmerga Curdi e auspicato il via libera delle Nazioni Unite a un intervento militare contro i terroristi dello stato islamico (Is).
Si osserva però un lento cambio di passo generale. Il capo dello Stato Joachim Gauck, lo scorso febbraio all’annuale Conferenza sulla sicurezza a Monaco di Baviera, ammoniva il suo paese a non eludere le responsabilità. Gli facevano eco il ministro degli Esteri, il socialdemocratico Frank-Walter Steinmeier, e il ministro della Difesa, la cristiano-democratica Ursula von der Leyen, che prefigurava una Bundeswehr sempre più agile e pronta all’intervento.
Considerando la ridda di notizie che ha ripetutamente visto la Bundeswehr in prima pagina però, la strada appare piuttosto accidentata. In un ampio servizio pubblicato dal settimanale Der Spiegel poco prima del vertice Nato in Galles, si apprendeva di un progressivo taglio di fondi per la Difesa: meno 400 milioni di euro nel 2014, e poi altre decurtazioni fino a raggiungere un tetto massimo di spesa di 32,1 miliardi di euro entro fine 2016.
Seguiva poco dopo la notizia, resa pubblica dai Verdi, secondo la quale la Difesa negli ultimi tre anni avrebbe speso 3 miliardi di euro in meno di quelli a sua disposizione. “E questo spiega, almeno in parte, il motivo dei tagli al budget” commenta Harald Kujat, ex ispettore generale della Bundeswehr nonché, dal 2002 al 2005, capo della Commissione militare della Nato. “Continuiamo ad affidarci ciecamente alla Nato, anziché contribuire attivamente alla sicurezza e difesa, per lo meno dell’Europa”.
Una deplorevole letargia, nonostante il documento che elenca le linee guida per la politica di difesa (Verteidigungspolitische Richtilinien, VPR) metta nero su bianco i compiti delle forze armate tedesche, ricorda Kujat. Lì si legge che la Bundeswehr deve essere in grado di fronteggiare conflitti di differente entità e intensità “affinché la Germania dia il proprio contributo politico e militare in virtù del suo ruolo politico ed economico”.
La politica di sicurezza chiama in causa la politica degli armamenti. E qui si apre la falla successiva. Molti mezzi militari in dotazione mostrano un avanzato stato di usura e dunque non sono impiegabili.
In un recente rapporto, la stessa Bundeswehr affermava che dei 109 Eurofighter in dotazione solo 42 sarebbero pronti all’uso; dei 56 C-160 aerei da trasporto Transall appena 24, mentre dei 21 elicotteri Sea King non più di 3 (per citare qualche esempio).
Più o meno in contemporanea la Banca Mondiale rilevava che nel 2013 la Germania ha investito l’1,3% del PIL nella Difesa contro il 2,5% nel 1990 (ora la quota dovrebbe risalire al 2%, secondo l’accordo sottoscritto in Galles).
Nel 2012 si contavano 186.450 militari, contro i 545mila del 1990. “Va ricordato che dal 1 luglio 2011 non c’è più la leva obbligatoria. Ma attualmente non c’è penuria di personale militare” chiosa Kujat. “Ci potrebbe però essere in futuro, se continuerà a mancare una vera strategia, e se la competitività degli ingaggi scemerà di fronte ad altre professioni”.
A dire il vero, il problema della competitività Ursula von der Leyen l’aveva individuato sin dal primo giorno alla guida del dicastero, promettendo “di trasformare la Bundeswehr nel datore di lavoro più ambito del paese”.
Il ministro von der Leyen non vuole sentir parlare di disimpegno. La Germania è impegnata in 17 missioni estere con 3400 soldati, ribadisce. Ammette di aver ereditato diversi problemi: non solo l’usura dei mezzi, ma anche i gravi ritardi nella consegna di materiale da tempo ordinato.
Un esempio su tutti: la consegna degli aerei da trasporto A400M era prevista nel 2007, ma fino a ora non ne è arrivato nemmeno uno. Ritardi causati spesso da fornitori tedeschi, e dunque ancor più singolari, se si considera che la Germania con il 7% della quota mondiale è al terzo posto tra gli esportatori.
L’industria dell’armamento chiama in causa anche il ministero dell’Industria. In un discorso tenuto a inizio autunno alla Deutsche Gesellschaft für Auswärtige Politik (un think tank di politica estera) il socialdemocratico Sigmar Gabriel, ministro dell’Economia, provava a pensare in un’ottica di più ampio respiro. L’obiettivo futuro deve essere la creazione di un esercito dell’Unione Europea, e questo significa che ogni paese dovrà sempre più concentrarsi sulle proprie Kernfähigkeiten, cioè, sulle competenze chiave.
Inutile che la Germania produca aerei (l’epoca del glorioso Messerschmitt è lontana) se la sua forza sta nei sommergibili. Ma anche questo cambio di prospettiva riporta il problema della necessità di una chiara strategia di difesa e sicurezza. L’ha riconosciuto anche il ministro von der Leyen, che a inizio novembre ha annunciato la revisione del libro bianco della Bundeswehr. Una revisione per la quale si è data due anni di tempo.
Una volta macchina militare temibile, ora la Germania non è più preparata a combattere.