La visita dello scrittore Ulf Peter Hallberg a Roma, all’inizio del mese di ottobre, ha offerto diversi dubbi a quanti nutrono certezze sulla percezione della cultura europea, affetta – secondo l’ impressione comune – da disincanto e distacco per il sogno europeo tra i protagonisti delle arti e nella popolazione.

Hallberg ha proposto – nella sua scrittura e nella vivace conversazione che ha avuto con i partecipanti ad una serata presso la residenza della ambasciatrice di Svezia a Roma Ruth Jacoby – una immagine diversa dell’Europa, filtrata attraverso la sua esperienza personale di appartenente ad una famiglia che ha sempre amato la cultura del continente (intesa nel senso più ampio, da Baudelaire a Greta Garbo). Hallberg è uno scrittore svedese che esprime un punto di vista europeo, è nato a Malmö (ma vive a Berlino dal 1983) ed è emerso come autore per il teatro e il cinema, con una narrazione tra romanzo e saggio.
Indubbiamente, quello tracciato da Hallberg in “Europeiskt skräp” è un omaggio alla cultura europea, che affonda però le radici nel vissuto personale, perché nel libro lo scrittore ritrova, nella casa della sua infanzia, oggetti, quadri, ritagli di giornale: cose che non valgono molti soldi, ma comunicano amore per la libertà della conoscenza, una alternativa ad un mondo che adotta quali valori fondamentali il denaro e l’apparenza, così Hallberg inizia a lavorare sulla memoria del padre appena perduto.
“Trash Europeo” (edito in Italia dalla casa editrice “Iperborea” che cura il mondo letterario nordico) si sviluppa quindi come l’elaborazione di un lutto, che acquista un senso più profondo attraverso la raccolta di una meravigliosa eredità, un mucchio di oggetti e carte da cui emergono bagliori della cultura europea: Benjamin, il neorealismo italiano, Parigi, storici come Burckhardt, i pittori Bager e Nemes. “Mio padre – scrive Hallberg – incorporava gli oggetti nel mondo dei sogni di famiglia, costruiva intricati sistemi, cartelle e cataloghi che richiamavano ad una specie di storia universale. Ci elevava alla ricchezza del mondo. Proprio come Strindberg, egli cercava di fabbricare l’oro. E sono ormai convinto che ci sia riuscito”.
Ulf Peter Hallberg raccoglie quindi dal padre un incarico: ricomporre la frammentarietà del presente in un umanesimo contemporaneo. L’autore rievoca la storia familiare a partire dall’ambiente domestico e passa a città visitate più volte, passa da film amati ad oggetti collezionati, elementi diversi che Hallberg mescola ai suoi ricordi, dato che iniziò a scrivere il libro dopo avere perso una persona di riferimento, il padre, ed aveva bisogno di riaggregare in qualche modo il suo universo, il quale era in buona parte coincidente con la cultura europea nel suo insieme, dalle testimonianze storiche ai contesti popolari.
“Nel libro ho cercato di mettere in connessione tutte le cose che ho amato di più e che mio padre aveva amato di più” ha spiegato lo scrittore, ripercorrendo quindi i suoi viaggi nel Mediterraneo e l’ingresso nella casa in cui il lettore è colpito l’immagine dei taccuini del padre, trovati quasi in ordine per essere consultati.
L’autore rievoca il rumore ascoltato nell’ infanzia, mentre suo padre ritagliava, dai giornali scandinavi, articoli sulla cultura europea contemporanea. Hallberg ricorda che suo padre aveva 86 anni al momento della sua morte, ma sembrava molto più giovane di molti suoi coetanei, segno che l’Europa con la sua cultura per molti è ancora un sogno benefico.
La visita dello scrittore Ulf Peter Hallberg a Roma, all’inizio del mese di ottobre, ha offerto diversi dubbi a quanti nutrono certezze sulla percezione della cultura europea, affetta – secondo l’ impressione comune – da disincanto e distacco per il sogno europeo tra i protagonisti delle arti e nella popolazione.