
Superstar del cricket, playboy del jet set, promettendo la fine della corruzione e un “Welfare islamico”, ha sconfitto le due dinastie al potere dal 1970.
Il Pakistan ha un nuovo primo ministro, Imran Khan, meglio noto come capitano della nazionale di cricket negli anni ‘90 e come celebre frequentatore dei club di Londra. La sua elezione segna una svolta per un Paese che, quando non era in mano all’esercito, tendeva a selezionare i suoi leader tra le famiglie Bhutto e Sharif.
Khan è una vera star del cricket. Il suo più grande successo è stato condurre il Pakistan alla vittoria nella Coppa del Mondo del 1992. Quando non era sul campo da cricket lo si poteva avvistare in qualche party londinese, in compagnia di una bella signora. Così lo ritraevano spesso i tabloid.
22 anni fa Khan, oggi 65enne, cercò di scrollarsi di dosso l’immagine di playboy. Tornato in Pakistan, finanziò una serie di ospedali per la cura del cancro in memoria della madre, a partire da Lahore, sua città natale. Ne seguirono altri a Peshawar, importante centro dell’etnia pashtun cui Khan appartiene, e a Karachi, la città più grande del Paese. Questi gli valsero il sostegno popolare e spianarono la strada per il suo ingresso in politica.
Khan fondò il Pakistan Tehreek-e-Insaf (PTI), o Movimento per la giustizia, con la missione dichiarata di porre uno “stop alla corruzione”. Nel 2003 ottenne il primo seggio all’interno dell’Assemblea nazionale e il PTI raccolse consensi a sufficienza per guidare un governo di coalizione nella provincia di Khyber Pakhtunkhwa, a maggioranza pashtun.
Ci sono voluti altri 15 anni perché il PTI riuscisse ad affermarsi a livello nazionale. Lo scorso 25 luglio il Movimento ha conquistato 116 seggi, diventando il principale partito dell’Assemblea nazionale e facendo balzare al secondo e terzo posto quelli che hanno dominato il Pakistan per decenni, senza ottenere però la maggioranza assoluta per governare da solo.
La Lega Musulmana (PML-N) dell’ex Premier Nawaz Sharif ha denunciato “brogli pre-elettorali”, lamentando una scarsa affluenza alle urne. Tanto indignato quanto sconfitto ne è uscito il Partito Popolare Pakistano (PPP), un tempo guidato da Benazir Bhutto, anche lei ex primo ministro. La Commissione elettorale ha respinto le accuse di brogli, sostenendo che le elezioni si sono svolte in modo “libero e giusto”.
I due grandi sconfitti hanno messo da parte le vecchie divergenze per opporsi a un governo guidato dal PTI. Per raggiungere la soglia dei 137 seggi Khan governerà con il sostegno di una coalizione dei partiti più piccoli e indipendenti.
La campagna elettorale di Kahn si è concentrata sulla promessa di “porre fine alla corruzione entro 90 giorni”. Kahn ha anche promesso uno “stato sociale islamico”, ma con il Paese sull’orlo della bancarotta non è chiaro come intenda finanziarlo. Anche altre promesse, come quella di abrogare le draconiane leggi sulla blasfemia, saranno difficili da mantenere, dato che Khan dipende da partiti politici minori che propugnano un programma rigidamente islamista.
È la seconda volta nella storia del Pakistan che un governo eletto passa il testimone a un altro partito dopo un’elezione. Di norma era l’esercito, che ha detenuto il potere per 33 dei 71 anni di indipendenza del Paese, a cacciare i governi eletti a suon di colpi di Stato, per cui qualsiasi transizione democratica è di per sé un successo.
Un altro traguardo raggiunto da Khan è la sconfitta delle due famiglie che hanno dominato la politica pakistana sin dagli anni ‘70. L’anno scorso, in seguito alle rivelazioni dei Panama papers, Sharif è stato indagato per corruzione dalla Corte suprema e deposto dalla carica di primo ministro. Poco prima delle elezioni è stato condannato a 10 anni di reclusione. Suo fratello Shebhaz, governatore del Punjab, avrebbe dovuto succedergli come primo ministro, un piano mandato a monte dalle elezioni.
Alla guida del PPP c’era Bilawal Bhutto Zardari, figlio di Benazir Bhutto e nipote di Zulfikar Ali Bhutto, fondatore del partito negli anni ‘70. Quest’ultimo è stato presidente del Pakistan e primo ministro, prima di essere deposto dall’esercito e giustiziato. Benazir Bhutto ha ricoperto per due volte il ruolo di primo ministro ed è stata assassinata durante la campagna elettorale del 2008. Il padre di Bilawal, Asif Zardari, è stato presidente del Pakistan, successivamente incarcerato per corruzione.
Viste le accuse che pendono sia sul PML-N che sul PPP, la promessa di Khan ha fatto presa sugli elettori, che potrebbero aver considerato la sua mancanza di esperienza politica come un fatto positivo. Una delle sue ex mogli, Reham Khan, racconta in un libro che l’ex marito ha avuto diversi figli illegittimi ed è diventato tossicodipendente dopo la rottura con la prima moglie, l’ereditiera britannica Jemima Goldsmith. Tutto ciò non sembra aver influenzato gli elettori di un Paese profondamente conservatore.
Se la politica dinastica, per il momento, sembra tramontata, non si può ancora dire lo stesso sull’ingerenza dell’esercito. Entrambi i principali partiti sconfitti sostengono che l’esercito abbia aiutato Khan in campagna elettorale. Sharif ha persino accusato le forze armate di orchestrare il suo licenziamento da primo ministro con un “colpo di stato soft” e di star architettando la sua incarcerazione. “Stavo diventando un ostacolo in alcune questioni” dice. Il Generale Qamar Javed Bajwa, capo dell’esercito pakistano, smentisce tali affermazioni.
Non vi sono dubbi sull’enorme influenza esercitata dai capi dell’esercito e dell’agenzia di intelligence (ISI) pakistani, soprattutto per quanto riguarda i rapporti con i Paesi vicini. L’esercito pakistano è stato accusato di sostenere i talebani in Afghanistan e l’anno scorso il Presidente Donald Trump ha bloccato gli aiuti al Pakistan, affermando che “ci ha dato solo menzogne e inganni” e ha offerto “rifugio ai terroristi a cui noi diamo la caccia in Afghanistan”. L’esercito pakistano è anche coinvolto nelle tensioni tra India e Pakistan per il controllo del Kashmir, più volte sfociate in guerra aperta sin dalla “partizione” delle due nazioni alla vigilia dell’indipendenza dalla Gran Bretagna.
Migliori sono i rapporti del Pakistan con la Cina, che ha aiutato il Paese povero lanciando il Corridoio economico sino-pakistano (CPEC). Il CPEC collegherà la Cina al porto pakistano di Gwadar, vicino all’ingresso del Golfo Persico, assicurando al Dragone un più rapido accesso al Golfo. L’investimento di almeno 62 miliardi di dollari fa parte della Nuova via della seta.
Anche a causa del CPEC, il Pakistan è sempre più sommerso dai debiti. Khan dovrebbe cercare di ottenere un salvataggio dal Fondo Monetario Internazionale (FMI) nell’ordine dei 12 miliardi di dollari. Potrebbe incappare però nell’opposizione degli Usa, principale finanziatore del FMI. Il Segretario di Stato Mike Pompeo ha infatti affermato che i dollari dei contribuenti americani non devono essere utilizzati “per salvare gli obbligazionisti cinesi o la Cina stessa”. Coloro che criticavano il governo pakistano per aver accettato prestiti dalla Cina dicono che il Paese si è indebitato a tal punto da essere praticamente uno Stato vassallo.
Sospendere i progetti per la costruzione di strade e centrali elettriche sarebbe una scelta impopolare. Da quando sono arrivati gli operai edili cinesi, le interruzioni di corrente sono diminuite nelle maggiori città. Khan definisce la CPEC “una grande opportunità per attirare investimenti in Pakistan”, ma potrebbe essere costretto ad annullare alcuni dei progetti più costosi.
Il Pakistan non è mai stato un Paese facile. Sarà difficile mantenere stabile un governo di coalizione che coinvolge tanti piccoli partiti. Una sfida ancora più grande sarà affrontare l’esercito e governare una nazione di 206 milioni di persone in cui il potere civile non è sempre stato la norma.
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Superstar del cricket, playboy del jet set, promettendo la fine della corruzione e un “Welfare islamico”, ha sconfitto le due dinastie al potere dal 1970.