Una spiegazione e perché il governo Trump rischia di aiutare l’ormai isolato regime repressivo e antidemocratico del chavista Maduro.
È l’alto prezzo che il presidente Nicolás Maduro ha deciso di pagare per restare al potere fino al 2018. L’Assemblea costituente eletta 30 luglio scioglierà il Parlamento (già esautorato dalla Corte Suprema apertamente schierata con il governo) e destituirà dall’incarico il Procuratore capo Luisa Ortega Díaz, una fedele chavista che si è rivoltata per l’incostituzionalità della procedura.
Maduro ha fatto il miracolo. Alle 16.00 lo stesso Comitato elettorale (dichiaratamente filogovernativo) riferiva di soli 1.233.000 voti (che includevano 800.000 beneficiari di buoni alimentari e impiegati pubblici minacciati di perdere benefici e lavoro). Alle 17.30 aveva votato solo il 9% degli aventi diritto con un’astensione di oltre il 90%, secondo la deputata Delsa Solorzano (il Parlamento è in mano all’opposizione dalle elezioni vinte a stralarga maggioranza nel 2015). Poi in sole due ore, 1.500.000 voti sono diventati quasi 9.000.000.
Il conteggio è ovviamente gonfiato, come aveva previsto il presidente del Congresso, Julio Borges, anche perché la rete è piena di fotografie e testimonianze di seggi deserti, soprattutto nei bastioni elettorali del governo, come il quartiere “23 de enero” o varie aree dello Zulia o di Portuguesa.
La spiegazione dell’impune – e violenta – erosione della democrazia da parte di Maduro non sta solo nella sua ambizione personale, ma anche in un freddo calcolo sui tempi sempre più ridotti per consolidare il suo cerchio nel potere in una lotta interna dell’establishment militare chavista.
“Siamo alla vigilia dell’eliminazione della Repubblica con l’imposizione del Diosdadato” avevano scritto qualche giorno prima due noti giornalisti, Nelson Bocaranda e Alberto Ravell. In altre parole, anche se Maduro voleva fare presiedere la costituente ai suoi fedeli, a imporsi è stata l’ala militare del “più oscuro personaggio del chavismo, Diosdado Cabello” che ora da “onnipotente” potrà fare e disfare lasciando da parte Maduro.
Da tempo in Venezuela e dal 2015 negli Usa si ritiene che sia lui, in quanto secondo del regime, ad approvare o quantomeno chiudere il suo potente occhio sulla partecipazione al narcotraffico di certe autorità e di manovalanza militare e della polizia.
Ora Cabello potrà “togliere l’immunità ai deputati, chiudere mezzi di comunicazione, limitare ancora di più le già vessate libertà, distruggere la proprietà privata o qualsiasi desiderio abbia”, oltre a eliminare come previsto ogni struttura politica di base che non sia una “missione” locale del partito.
Vari governi latinoamericani non riconosceranno alla costituente alcuna autorità. Oltre a Argentina, Cile, Messico e Panama, la Colombia sta aiutando i profughi venezuelani e il Perù ha prolungato loro il permesso di soggiorno.
Le dinamiche caotiche del governo Trump potrebbero però minare questo fronte. Sul Venezuela, Trump ha scelto di lasciarsi guidare dal senatore ultraconservatore Marco Rubio, lasciando in secondo piano il Segretario di Stato, Rex Tillerson. È stato Rubio a suggerire i nomi che il Tesoro Usa ha appena incluso in una lista di 13 politici venezuelani da sanzionare. L’assenza di Tillerson nelle questioni latinoamericane favorisce Maduro, come ha mostrato il fallito voto dell’Organizzazione degli Stati americani sulle violazioni dei diritti umani in Venezuela.
Più grave ancora sarebbe se Trump accettasse di imporre sanzioni sul petrolio. Le conseguenze materiali sarebbero deleterie innanzitutto per la popolazione che è già alla fame. Il paese non ha dollari per importare alimenti e quasi non ne produce per la fallimentare gestione dell’industria locale negli ultimi anni.
In secondo luogo, Washington darebbe sostanza alla scusa preferita di Maduro per mascherare i suoi disastri economici e la limitazione delle libertà: “L’imperialismo yanqui“, analogamente a come l’embargo Usa ha dato per decenni un argomento politico al governo cubano.
Le conseguenze di sanzioni petrolifere sulla popolazione potrebbero minare la pressione che i paesi latinoamericani stanno esercitando per evitare che altro sangue arrivi al fiume.
Le vittime nelle mobilitazioni dell’opposizione negli ultimi quattro mesi sono salite a quasi 130 con domenica e la misura di quanto la violenza si stia esacerbando la danno i tre poliziotti morti a colpi di pistola. Se anche solo pochi elementi tra i dimostranti si armassero, in uno tra i più violenti paesi al mondo e “in risposta” a bande paramilitari e a forze del governo che sparano dalle moto su studenti, donne e ragazzi di 13 anni come in questo fine settimana, il conflitto fisico nelle strade e nelle case diventerebbe totale e aperto.
La mobilitazione dell’opposizione s’ispira espressamente alle rivoluzioni civili, come quella arancione in Ucraina,e a movimenti come quello di Gandhi o sudafricano. La stragrande maggioranza dei venezuelani quindi ha messo in conto di continuare a scendere nelle piazze non solo in mobilitazioni organizzate, come già oggi lunedì, ma anche nel loro piccolo bloccando le strade nei quartieri.
“Se Maduro crolla, molte persone non avranno più i benefici sociali”, mi dice un sostenitore del partito di governo centrando la più grande ed efficace trappola del chavismo: fare diventare antitetici lo stato sociale e le libertà democratiche.
Il déjà-vu del secolo XX lo conferma anche il comportamento dell’élite. Mentre in un solo giorno 15 persone morivano e altre assistevano impotenti all’orribile pestaggio di una donna sola da parte di una decina di uomini pro-Maduro, i suoi figli erano in vacanza al Ritz a Madrid. Pare abbiano speso in 18 giorni 44.000 euro. Considerando che il salario medio mensile è di 10 euro, avrebbero speso quanto 36 famiglie in 10 anni.
@GuiomarParada
Una spiegazione e perché il governo Trump rischia di aiutare l’ormai isolato regime repressivo e antidemocratico del chavista Maduro.
È l’alto prezzo che il presidente Nicolás Maduro ha deciso di pagare per restare al potere fino al 2018. L’Assemblea costituente eletta 30 luglio scioglierà il Parlamento (già esautorato dalla Corte Suprema apertamente schierata con il governo) e destituirà dall’incarico il Procuratore capo Luisa Ortega Díaz, una fedele chavista che si è rivoltata per l’incostituzionalità della procedura.