
L’epidemia è letale non solo per la popolazione ma anche per le economie.
“Il nostro tasso di crescita era tra i più alti al mondo, i nostri fondamentali macroeconomici erano solidi. Stavamo lavorando bene, costruendo strade, centrali energetiche, lavorando sul turismo e sull’agricoltura. Poi è arrivata Ebola, a maggio, e tutto si è capovolto”: così il ministro delle Finanze della Sierra Leone, Kaifala Marah, ha iniziato il suo intervento lo scorso ottobre all’incontro annuale tenuto a Washington D.C. da FMI-Banca Mondiale.
“Il cacao e il caffè, che contano per il 90% delle nostre esportazioni agricole, sono ai livelli più bassi di sempre, perché la gente ha abbandonato i propri campi e le proprie fattorie. Tutti stanno fuggendo da Ebola. Anche le costruzioni vanno male, molti contractors hanno abbandonato i cantieri. Il turismo è calato del 50-60%. Il traffico aereo è fermo. Siamo stati isolati e questo sta davvero uccidendo le nostre economie” ha aggiunto Marah, che ha paragonato la situazione a “un embargo economico” disastroso.
Dall’industria dei safari, all’agricoltura, dal settore minerario a quello fiscale: i contraccolpi dell’epidemia sulle economie di Guinea, Liberia e Sierra Leone si stanno facendo sentire in ogni settore e, contro ogni logica o fondamento, non riguardano solo i tre paesi colpiti dal virus, ma sempre di più anche altre nazioni africane distanti migliaia di chilometri dalla zona di diffusione della malattia.
La Banca Mondiale ha stimato in 32,6 miliardi di dollari l’impatto economico che l’epidemia avrà in Africa da qui fino alla fine del 2015. Una stima che, col passare delle settimane e con l’epidemia ancora lontana dal suo “picco virale”, sembra ottimista e potrebbe nascondere conseguenze economiche ben più gravi.
“Una più ampia diffusione dell’epidemia di Ebola potrebbe ostacolare la costante crescita economica dell’Africa occidentale” hanno spiegato gli esperti del Fondo Monetario Internazionale, diffondendo lo scorso ottobre le prospettive economiche per l’Africa, riviste al ribasso per il 2014 (da un +5,5% a un +5%) anche a causa dell’impatto del virus.
Se all’inizio del 2014 il FMI aveva previsto per la Sierra Leone una crescita dell’11,3%, ad agosto il dato è stato ridotto a un più magro +8%; la Liberia è passata da un +5,9% a un +2,5%, mentre la Guinea dal +4,5% al +2,4% di fine estate.
I numeri e i dati in circolazione rischiano di restituire una fotografia parziale del prezzo economico che Guinea, Liberia e Sierra Leone stanno pagando. Le restrizioni alla mobilità, al commercio e ai trasporti, legate alla chiusura delle frontiere da parte dei paesi vicini non incidono solo sui dati ufficiali riportati dalle statistiche, ma anche su quell’universo di commercio informale che rappresenta l’economia di sopravvivenza per gran parte delle popolazioni dei tre paesi.
L’agricoltura è uno dei settori maggiormente colpiti e già nei mesi scorsi la FAO ha annunciato il rischio che nell’area di diffusione del virus si prospetti una grave crisi alimentare nel prossimo futuro. La diffusione della malattia minaccia seriamente tutte le fasi della lavorazione agricola.
L’agricoltura contribuisce al 57% del prodotto interno lordo della Sierra Leone, al 39% di quello della Liberia e al 20% di quello della Guinea. In pochi mesi, il prezzo della cassava (una specie di patata, bene di prima necessità, base dell’alimentazione) in alcuni dei principali mercati liberiani è aumentato del 150% e così quello di quasi tutti i prodotti alimentari. Perché se i prodotti locali scarseggiano per la fuga generalizzata dei contadini dalle campagne, quelli importati sono sempre più difficili da reperire a causa dei limiti al commercio transfrontaliero.
Le ricadute economiche di Ebola non risparmiano neanche il settore minerario, fondamentale per le economie di tutti e tre i paesi (14% dell’economia liberiana e 17% di quella sierraleonese), colpito da restrizioni ai viaggi e rimpatrio di personale, ma più in generale minacciato dalla “riduzione di fiducia da parte degli investitori”, come gli esperti definiscono la paura che attanaglia i consigli di amministrazione di aziende provenienti da ogni angolo del pianeta. Ecco che se in Liberia il gigante Arcelor Mittal ha diminuito l’attività e rinviato a data da destinarsi i piani d’investimento per triplicare la produzione di ferro in loco, in Sierra Leone e persino in Guinea (dove la zona mineraria è lontana da quella dell’infezione) i grandi gruppi cinesi, canadesi e australiani hanno preferito sospendere completamente le proprie operazioni.
Una situazione che, a cascata, si ripercuote sulle politiche fiscali e monetarie dei governi dei tre paesi interessati, proprio in un momento in cui, l’emergenza Ebola, li costringe a spese sostenute in un settore (quello sanitario) colpevolmente a lungo trascurato. Se le ripercussioni nei settori dell’agricoltura e commercio si trasformano in minori tasse e imposte doganali, il calo del settore minerario comporta anche una drastica e improvvisa riduzione delle scorte di valuta pregiata dei governi.
Meno studiato e raccontato, finora, l’impatto che l’epidemia sta avendo sul settore finanziario dei tre paesi colpiti. Un settore che, come evidenzia Amadou Sy dell’influente think tank americano The Brookings Institution, “rischia di risentire degli ingenti prelievi dai conti, che potrebbero portare le banche locali a un serio rischio di mancanza di liquidità”. Citando un rapporto di Banca Mondiale, Sy sottolinea come “molti ricchi guineani e stranieri abbiano già lasciato il paese e come l’incertezza in Sierra Leone abbia portato a una crescita della fuga di capitali”.
“La verità è che non riusciamo a star dietro alla cronaca. Un quadro completo dei contraccolpi e dei danni economici che l’epidemia di Ebola sta provocando non lo avremo che alla fine. Ritengo che le stime in circolazione siano fin troppo ottimistiche” riferisce un funzionario della United Nations Economic Commission for Africa (UNECA) contattato ad Addis Abeba, chiedendo l’anonimato perché non autorizzato a parlare con la stampa.
“L’epidemia si sta muovendo molto più velocemente di quanto noi economisti possiamo registrare – gli fa eco David Evans, senior economist di Banca Mondiale – le ultime informazioni suggeriscono che anche lo scenario più nero dipinto da Banca Mondiale sia ottimista”.
A pesare, in negativo, è il cosiddetto “fattore paura”, che soprattutto nei paesi occidentali sembra aver generato una psicosi tanto esagerata quanto incontrollabile. Ebola, infatti, si può contenere, contrastare e curare. La paura no.
L’epidemia è letale non solo per la popolazione ma anche per le economie.