Tutto il mondo è paese e, specie in campagna elettorale, emergono le similitudini nei metodi e nei contenuti, anche a migliaia di chilometri di distanza. Se quindi nell’Italia del periodo pre elettorale si torna a spingere su immigrazione clandestina addirittura inventadosi un rischio virus ebola, Narendra Modi la settimana scorsa se l’è presa coi migranti del Bangladesh.

In una serie di comizi nel Bengala Occidentale il carrozone della Modi Wave ha giocato la carta del risentimento locale nei confronti dei milioni di bangladeshi che, negli anni, si sono stabiliti al di là del confine nazionale.
Secondo le statistiche ufficiose oggi, in India, ci sono almeno 10 milioni di bangladeshi (altre fonti dicono addirittura 20), la stragrande maggioranza dei quali residente nel Bengala Occidentale. Un territorio dove le affinità sociali e culturali sono enormi: dal cibo alla lingua, passando per la musica, la letteratura e le convenzioni sociali, Bengala Occidentale e Bangladesh sono divise da un confine culturalmente inesistente.
I flussi migratori dal Bangladesh, come solito, sono alimentati dalla ricerca di condizioni di vita migliori, amplificate nel caso specifico da storie di famiglie divise dalla Partition del 1947 tra India e l’allora East Pakistan (diventato Bangladesh dopo la sanguinosa guerra d’indipendenza del 1971).
Modi, per rosicchiare consensi in un territorio dove il Bjp è praticamente inesistente, recentemente ha pensato bene di alzare il livello della provocazione, intimando ai bangladeshi migranti di “preparare le valigie”, che dal 16 maggio (giorno dei risultati elettorali) verranno rispediti al loro paese.
Recriminazioni del genere fanno presa apparente su un elettorato sconfortato da un tenore di vita in ribasso per motivazioni macroeconomiche, o almeno panindiane, ma giustificato dalla politica con l’avvento dei migranti “che ci rubano il lavoro”. In aggiunta, Modi ha fatto leva sulla peculiarità religiosa: il Bangladesh è a larga maggioranza un paese musulmano e i migranti bangladeshi – che, per esperienza personale, ritengo si considerino molto più “bangladeshi” che “musulmani” – vengono accomunati al Babau islamico reo di voler corrompere l’idillio hindu dell’India. Dal proliferare di moschee ai traffici illegali di mucche lungo il confine (in India è complicato avere una licenza per allevare e macellare mucche, più “comodo” importarle illegalmente dal vicino Bangladesh), secondo Modi in India non c’è posto anche per i migranti bangladeshi: gli sforzi del paese dovrebbero concentrarsi sul sostegno delle popolazioni autoctone e hindu, come i migranti interni di Orissa, Bihar e Uttar Pradesh. Ai bangladeshi musulmani, che ci pensino i paesi musulmani.
Per chiarire il concetto, Modi ha inoltre specificato di essere disposto ad aprire le porte del paese ai migranti bangladeshi, purché di fede hindu. Parafrasando:
Abbiamo una responsabilità nei confronti delle popolazioni hindu che vengono perseguitate e soffrono in altri paesi. Dove possono andare? L’India è l’unico posto al mondo per loro. Il nostro governo non può continuare a vessarle, dobbiamo ospitarle qui da noi.
Un altro aspetto del campione dell’hindu-fascismo Narendra Modi, pronto a guidare il secondo paese più popoloso al mondo.
Allegria!
Tutto il mondo è paese e, specie in campagna elettorale, emergono le similitudini nei metodi e nei contenuti, anche a migliaia di chilometri di distanza. Se quindi nell’Italia del periodo pre elettorale si torna a spingere su immigrazione clandestina addirittura inventadosi un rischio virus ebola, Narendra Modi la settimana scorsa se l’è presa coi migranti del Bangladesh.