Seconda parte dell’intervista che padre Sava Janjic, Igumeno del monastero di Visoki Decani, nel Kosovo occidentale, e figura importante della chiesa serbo ortodossa, ha rilasciato ad East.
Come vivono i serbi rimasti in Kosovo?
Il numero di ortodossi serbi cristiani in Kosovo è di circa 130mila su una popolazione totale di due milioni di abitanti. Sono dispersi in diverse enclave, luoghi spesso privi delle più elementari forme di servizio pubblico o condizioni igienico sanitarie. Nel nord del Kosovo i serbi sono la maggioranza della popolazione, ma il numero più rilevante di serbi, vivono in aree a maggioranza albanese nel Kosovo centrale e orientale. La vita dei serbi del Kosovo è enormemente difficile: vivere ai margini della società kosovara, con un tasso di disoccupazione molto elevato, in uno stato di isolamento sociale e culturale è una quotidiana e terribile fatica. Vi sono poi comunità serbe che sono particolarmente prese di mira dai nazionalisti albanesi e le loro condizioni di vita sono ancora più difficili e umilianti.
Da quando la guerra del 1999 è finita sono stati distrutti diversi luoghi sacri…
Dal 1999, 150 chiese ortodosse serbe sono state distrutte dai nazionalisti albanesi. Tutti questi atti vandalici sono stati pienamente documentati. Durante i conflitti degli anni ’90 che hanno insanguinato la ex Jugoslavia, molti siti religiosi, appartenenti a qualsiasi confessione sono stati devastati. E nonostante la presenza delle forze internazionali di pace sul territorio la distruzione è proseguita ben oltre la guerra. Solo nelle sommosse del 2004, sono state bruciate in due giorni 35 chiese serbe, tra cui una appartenente al Patrimonio mondiale dell’umanità dell’Unesco. Al momento la situazione è un po’ più stabile, ma i siti cristiani ortodossi sono molto spesso bersaglio di provocazioni e minacce da parte di nazionalisti albanesi radicali. La comunità internazionale in Kosovo ha introdotto diverse leggi per la tutela dei siti cristiani, ma l’attuazione di queste leggi è molto difficile. Negli ultimi cinque mesi il Kosovo si trova in un blocco istituzionale totale visto che i grandi partiti non riescono a trovare un accordo su come condividere il potere e riformare la società. Iniziative politiche moderate sono state gravemente emarginate e lo scenario politico più probabile sarà quello di concentrare ancora una volta il potere reale nelle mani di ex capi militari dell’Uck, oggi riciclati nella forma di politici “democratici” del nuovo Kosovo.
Nonostante questa situazione la diplomazia e media parlano di un Kosovo che si sta normalizzando…
Il Kosovo è in fase di stabilizzazione, ma è un processo lungo che difficilmente porterà risultati più visibili nella nostra generazione. Guardando da fuori, la democrazia del Kosovo è simile a un palcoscenico dove si rappresenta un lavoro teatrale, ma guardando dietro le quinte, si può vedere un labirinto di clan condizionati dai gruppi della criminalità organizzata locale e dai peggiori traffici illegali, che muovono le file e gli interessi dei gruppi di potere. Attualmente in Kosovo, due sindaci, quelli di Prizren e di Skenderaj, esercitano il loro ruolo nonostante siano stati “condannati” a scontare delle pene carcerarie per crimini commessi e giudicati in tutti i gradi di giudizio. Il sindaco di Pristina, la capitale del Kosovo, è l’esponente di un partito ultra radicale che sostiene l’idea della Grande Albania e si prefigge di interrompere ogni tipo di dialogo diplomatico con Belgrado e la Serbia. Certi ambienti internazionali insistono nel presentare il modello Kosovo come una storia di successo poiché sarebbe oltremodo difficile spiegare come 15 anni di missione internazionale di pace, un volume enorme di aiuti economici e materiali, non abbiano prodotto alcun serio cambiamento nella società kosovara. Ciò nonostante risulta essenziale che l’Unione Europea insista non solo sul proprio ruolo nell’area e sulle dichiarazioni politicamente corrette della classe politica kosovara, ma che si faccia garante attraverso azioni concrete dell’osservanza e del rispetto della legge.
Che ruolo ha la Chiesa cattolica in Kosovo?
La Chiesa cattolica in Kosovo è formata in gran parte da comunità di lingua albanese e può contare su circa 60mila fedeli. Come cristiani sono più vicini ai loro fratelli ortodossi e condividono molte tradizioni e alleanze storiche del passato. Tuttavia, l’impatto del nazionalismo pan-albanese li rende politicamente molto più vicini agli albanesi del Kosovo musulmano. Abbiamo rapporti costruttivi con il vescovo cattolico e l’alto clero, ma a livello locale si è spesso rilevata una scarsa cooperazione e minore solidarietà, a causa del timore che la loro vicinanza alla comunità serba possa essere interpretata come forma offensiva per i nazionalisti. Credo fermamente che tutti noi, come fratelli cristiani, dobbiamo costruire una cooperazione più forte, distanziandoci da qualsiasi forma politica. Dobbiamo lavorare duramente per preservare le radici cristiane in Kosovo, che è l’unica speranza per mantenere questa parte dei Balcani nella sfera di civiltà e cultura europea.
Seconda parte dell’intervista che padre Sava Janjic, Igumeno del monastero di Visoki Decani, nel Kosovo occidentale, e figura importante della chiesa serbo ortodossa, ha rilasciato ad East.