L’incontro con Bolton, il cappellino “Trump 2020” di Bolsonaro junior e le sue dichiarazioni sulla Cina: «Ci comprano, non vogliamo diventare la nuova Angola». Sin dai primi passi in politica estera, Bolsonaro avvia una sterzata filo-Usa che sfiora l’adulazione. Non priva di rischi
Pochi giorni prima che Michel Temer a Buenos Aires partecipasse come comparsa al G-20, il suo successore, Jair Bolsonaro, muoveva i primi passi in politica estera. L’ormai ex deputato di Rio de Janeiro sarà presidente del Brasile da gennaio 2019 ma, proprio in occasione di uno scalo tecnico del G-20, è riuscito a intercettare John Bolton, il consigliere alla sicurezza nazionale degli Stati Uniti. L’incontro fra i due è stato informale, si è tenuto a casa di Bolsonaro e, secondo quanto riferito dall’ex capitano dell’esercito, i due avrebbero parlato di legami fra Brasile e Stati Uniti, di Cuba e di Israele. Una riunione «molto produttiva», a sentire Bolsonaro. Bolton ha invece invitato negli Usa il futuro presidente brasiliano. «Lavoreremo insieme per espandere la libertà e la prosperità in tutto il continente americano», ha twittato il leader del Psl.
Al netto delle precedenti dichiarazioni di Bolsonaro sulla volontà di spostare l’ambasciata israeliana da Tel Aviv a Gerusalemme, si è trattato della prima concreta presa di posizione del nuovo governo brasiliano in politica estera. È risaputo che Bolsonaro voglia riportare il Brasile nell’orbita degli Stati Uniti per un’affinità ideologica e personale con Donald Trump. Se sarà un legame benefico per entrambi i Paesi, lo stabiliranno gli scambi commerciali, le relazioni politiche e gli stessi brasiliani.
Intanto, ci sono stati alcuni segnali inusuali, come Bolsonaro che – incontrando Bolton – fa il saluto militare oppure Eduardo Bolsonaro, figlio del presidente eletto e super consigliere del prossimo esecutivo, che indossa il cappello con la scritta “Trump 2020”. Un sostegno legittimo ma che pone il governo Bolsonaro in una posizione di adulazione ancor prima che inizino le relazioni bilaterali.
Una linea che viene confermata anche dalla scelta di Ernesto Araújo come prossimo ministro degli Esteri. Il futuro capo dell’Itamaraty è conosciuto, peraltro, per il suo testo Trump e l’Occidente, in cui dipinge il presidente Usa come un personaggio che sta investendo “nel recuperare un passato simbolico, della storia e della cultura delle nazioni occidentali”. Un trumpista convinto, come lo definiscono i media brasiliani.
La scelta di puntare tutto sull’asse Brasile-Usa è stata confermata anche da Eduardo Bolsonaro nel corso di incontri con investitori stranieri, al Brazil-US Business Council di Washington. Il quotidiano Estado de São Paulo ha diffuso l’audio del figlio di Bolsonaro, che spiega: «(La Cina) è il più grande partner commerciale del Brasile non per cause naturali ma perché i nostri ex presidenti volevano così. Se lavoreremo per lasciare il libero mercato e le politiche liberali, gli Stati Uniti torneranno a essere il partner principale del Brasile. Mio padre, di solito, dice “La Cina non sta comprando dal Brasile, si sta comprando il Brasile”. E noi non vogliamo essere la prossima Angola».
Bolsonaro vuole fare il Trump ma, con le dovute proporzioni, è possibile dire che il Brasile non ha il potere degli Stati Uniti. Soprattutto dal punto di vista commerciale.
Un piccolo assaggio dei tentennamenti di Bolsonaro si è avuto con l’annuncio di voler spostare l’ambasciata israeliana. L’Egitto si è risentito cancellando un incontro previsto con l’attuale ministro degli Esteri, Aloysio Nunes Ferreira. In ballo c’era – e continua a esserci – un grande export di carne brasiliana verso il mercato arabo. Bolsonaro è subito tornato sui suoi passi, posticipando una decisione così importante.
Il Brasile può recitare un ruolo da protagonista soprattutto se è in grado di proporsi come leader della regione sudamericana ma da Bolsonaro, per ora, arrivano chiamate con Orban, tweet con Salvini e attestati di stima per Trump. C’è invece distanza con i Paesi vicini riguardo il cosiddetto “Tavolo di Quito” sui migranti del Venezuela – la cui dichiarazione finale non è stata firmata da Brasilia – e con il Mercosrl. In questo scenario, perfino la cancellazione della candidatura per la Cop25 del 2019 appare coerente con la politica estera che verrà.
@AlfredoSpalla
Pochi giorni prima che Michel Temer a Buenos Aires partecipasse come comparsa al G-20, il suo successore, Jair Bolsonaro, muoveva i primi passi in politica estera. L’ormai ex deputato di Rio de Janeiro sarà presidente del Brasile da gennaio 2019 ma, proprio in occasione di uno scalo tecnico del G-20, è riuscito a intercettare John Bolton, il consigliere alla sicurezza nazionale degli Stati Uniti. L’incontro fra i due è stato informale, si è tenuto a casa di Bolsonaro e, secondo quanto riferito dall’ex capitano dell’esercito, i due avrebbero parlato di legami fra Brasile e Stati Uniti, di Cuba e di Israele. Una riunione «molto produttiva», a sentire Bolsonaro. Bolton ha invece invitato negli Usa il futuro presidente brasiliano. «Lavoreremo insieme per espandere la libertà e la prosperità in tutto il continente americano», ha twittato il leader del Psl.