Le elezioni del 23 dicembre potrebbero sancire il primo trasferimento di potere democratico della storia del Congo. L’opposizione ha trovato l’unità contro il candidato di Kabila, ma le controverse macchine elettorali e la repressione in corso scuotono la speranza di un voto davvero libero
Il prossimo 23 dicembre saranno chiamati alle urne più di quaranta milioni di congolesi per pronunciarsi su quello che potrebbe essere il primo trasferimento pacifico e democratico di potere nella storia della Repubblica democratica del Congo.
Come evidenzia un messaggio diffuso dalla Conferenza episcopale nazionale del Congo (Cenco), è determinante assicurare un voto libero e trasparente poiché “lo svolgimento di elezioni credibili costituirebbe un valido ausilio per una vera alternanza democratica”.
A ormai meno di due settimane dalle elezioni presidenziali, avviate tra mille difficoltà e innumerevoli rinvii, la campagna elettorale si sta dimostrando carica di tensione e ci sono ancora molte ombre che si addensano sulla possibilità di garantire elezioni trasparenti. A partire dai dieci milioni di elettori iscritti nelle liste elettorali a cui ancora non sono state registrate le impronte digitali.
Le controverse macchine elettroniche elettorali
Secondo gli osservatori locali quello che pesa maggiormente sul corretto svolgimento delle prossime elezioni è stata la decisione della Commissione elettorale (Ceni), di autorizzare l’utilizzo di sofisticate e controverse macchine elettroniche per esprimere il voto. Questi dispositivi, prodotti dall’azienda sudcoreana Miru Systems, non garantirebbero l’immunità contro le frodi poiché non esiste alcuna garanzia sulla loro programmazione. E sarebbero anche difficili da usare per gli elettori, che in parte sono analfabeti e hanno già molte difficoltà a esercitare il voto utilizzando le usuali schede cartacee e le matite copiative.
Il processo elettorale potrebbe essere anche minato dalla mancata promessa di liberare gli oppositori politici del presidente Joseph Kabila, che si trovano ancora in carcere o in esilio. Non solo, il 7 novembre, le autorità congolesi hanno arrestato nel suo ufficio di Kinshasa il giornalista Peter Tiani, direttore del noto canale di notizie online Le Vrai Journal . Mentre il giorno dopo venivano incarcerati 17 dissidenti che, secondo quanto riportato dall’ong Human Rights Watch (Hrw), al momento del fermo sarebbero stati oggetto di violenze e percosse.
Questi arresti fanno parte di una più ampia campagna di repressione contro chi si oppone ai tentativi operati dal presidente Joseph Kabila per estendere la sua presidenza oltre il limite dei due mandati imposto dalla Costituzione. Kabila aveva ereditato la presidenza della nazione da suo padre, Laurent-Desire, assassinato nel 2001, quattro anni dopo aver guidato un esercito ribelle per rovesciare il dittatore Mobutu Sese Seko. E da quando, nel 2015, sono iniziate le proteste anti-Kabila sono stati arbitrariamente arrestati circa 2.000 attivisti democratici dell’opposizione. La maggior parte dei quali è stata rilasciata, dopo settimane o mesi di detenzione illegale e pesanti maltrattamenti.
Nel quadro generale della vigilia elettorale, non possiamo omettere di citare l’annosa crisi che ha relegato all’instabilità perenne le provincie orientali del Paese, dove dallo scorso agosto è anche esplosa una nuova epidemia di ebola, che ha già provocato 280 morti.
L’accordo dell’opposizione
Mentre si avvicina il giorno in cui verrà deciso chi sarà il successore di Joseph Kabila, alla fine di novembre i due candidati dell’opposizione Felix Tshisekedi dell’Union pour la démocratie et le progrès social (Udps), e Vital Kamerhe dell’Union pour la Nation Congolaise (Unc), hanno siglato un’alleanza a Nairobi.
L’accordo prevede che l’Udps e l’Unc daranno vita a una piattaforma chiamata Cap pour le Changement (Cpc), che designa Tshisekedi, figlio del defunto storico oppositore Etienne Thsisekedi, come candidato unico e prevede che in caso di vittoria, Kamerhe ricoprirà la carica di primo ministro. Mentre nelle elezioni del 2023 il candidato dell’alleanza sarà un appartenente all’Unc.
La nuova piattaforma politica, che sarà aperta anche ad altri schieramenti, è chiaramente mirata all’obiettivo di massimizzare il consenso per riuscire a prevalere sull’ex ministro degli Interni Emmanuel Ramazani Shadary, designato dai vertici del Parti Populaire pour la Réconciliation et la Démocratie (Pprd) per succedere a Joseph Kabila.
La piattaforma Cpc mira a raccogliere voti sia dall’est del Paese, dove l’Unc è molto forte, sia dalla parte centro-occidentale, dove è l’Udp è maggiormente radicato, anche sulla base di un sondaggio di fine ottobre, condotto dalla Congo Research Group della New York University e dal Bureau d’Etudes, de Recherches et de Consulting International di Kinshasa, che assegna a Tshisekedi il 36% delle preferenze e il 17% a Kamerhe.
L’alleanza dovrebbe compensare anche il mancato accordo che lo scorso 11 novembre sia Tshisekedi che Kamerhe avevano siglato a Ginevra per sostenere la candidatura unica dell’imprenditore Martin Fayulu (dato all’8% dal sondaggio sopraindicato). Poi, il giorno seguente, i due candidati hanno liquidato l’intesa di fronte al rifiuto quasi totale della base dei sette partiti dell’opposizione, che l’avevano inizialmente sostenuta.
Tutto questo impegno è comunque molto importante perché può rappresentare un fattore determinante per esortare la popolazione congolese a non accettare un’elezione fraudolenta. A meno di quattro settimane dalle tanto attese elezioni, una delle domande più ricorrenti che i candidati dell’opposizione si pongono è se ci saranno violenze dopo un risultato elettorale controverso e, soprattutto, quanto dureranno.
Forse si esauriranno dopo pochi giorni, permettendo di tornare in breve alla normalità, oppure la pressione popolare e l’attivismo degli ultimi tre anni sosteranno le proteste ad oltranza, fino a richiedere una qualche risolutiva risposta dall’esterno.
@afrofocus
Le elezioni del 23 dicembre potrebbero sancire il primo trasferimento di potere democratico della storia del Congo. L’opposizione ha trovato l’unità contro il candidato di Kabila, ma le controverse macchine elettorali e la repressione in corso scuotono la speranza di un voto davvero libero