Oggi giornata cruciale della visita di Trump a Pechino. Nell’incontro con Xi i temi fondamentali sono stati due: la questione nordcoreana ma soprattutto il deficit commerciale statunitense con la Cina
Ricevuto in pompa magna, dopo la giornata trascorsa al cospetto della storia millenaria e imperiale cinese alla Città Proibita, oggi Trump è entrato nel vivo del suo confronto con Xi Jinping. Il presidente americano ha sottolineato la «chimica» che sarebbe nata tra i due, ha poi affrontato nella Sala del Popolo i suoi otto minuti di discorso cui è seguita la replica di Xi, prima degli incontri tra i team presidenziali.
Ci si aspettava più di tutto novità riguardo la questione nord coreana, ma sia Trump sia Xi sembrano aver dato più importanza a questioni commerciali. Pur essendo due Paesi all’apparenza indissolubilmente legati (basti pensare al credito Usa detenuto da Pechino) è proprio il tema economico quello più delicato: in fondo sulla Corea del Nord tutti sembrano credere si possa evitare il peggio. Evitare – invece – una guerra commerciale potrebbe essere più complicato.
La questione nord coreana
Ovviamente in questo genere di incontri, a meno di clamorose sorprese, i toni dei comunicati finali cercano sempre di risultare concilianti. Trump è arrivato a Pechino dopo aver sottolineato l’importanza del ruolo del presidente cinese Xi Jinping per un futura risoluzione della crisi coreana.
Pechino dal canto suo aveva fatto sapere di avere riallacciato un certo tipo di rapporti con Pyongyang, ribadendo però la sua strategia legata ai «due no»: no alla proliferazione nucleare nord coreana, no all’espansione militare degli Usa in Corea del Sud. Non pare esserci granché spazio per le mediazioni e così Trump lascia ancora una volta il cerino in mano a Xi Jinping.
Durante la visita cinese il numero uno di Washington ha ribadito che – così come Xi Jinping – è convinto che una soluzione ci sia. E ha anche aggiunto che la Cina può risolvere rapidamente e facilmente il problema ma che bisogna «agire velocemente».
Xi Jinping ha risposto in modo affermativo: «Siamo disposti a raggiungere una risoluzione per la questione della penisola coreana attraverso il dialogo e le consultazioni».
Pare che tutti prendano tempo perché per avviare tanto il dialogo quanto le consultazioni è necessario che ci sia il parere favorevole anche di Kim Jong-un (silente durante la visita di Trump in Asia, ad ora).
Il deficit commerciale degli Usa con la Cina
Tra i tanti motivi delle tensioni tra i due Paesi, sempre tenute sotto controllo durante le visite ufficiali, c’è la bilancia commerciale tra Stati Uniti e Cina. Gli Usa importano dalla Cina molto di più di quanto vi esportano, il deficit americano in questo senso è di quasi 400 miliardi di dollari. Una cifra che Trump ha già definito «imbarazzante» e che oggi a Pechino – in un’iperbole – ha definito di 500 miliardi di dollari.
Washington importa per lo più materiale elettronico, vestiti, macchinari. In alcuni casi le aziende Usa mandano in Cina le materie prime e poi re-importano i prodotti finiti. Secondo i «falchi» di Washington – e anche secondo Trump – questo accade perché la Cina finanzia le aziende statali, perché ha bassi prezzi e perché sfrutta la sua moneta debole per essere più competitiva. Se queste accuse venissero messe in atto sotto forma di operazioni reali, si potrebbe assistere a una vera e propria guerra commerciale.
Ipotesi che nessuno pare volere, considerando il fatto che da quest’anno la Cina è tornata a essere il primo creditore degli Stati Uniti. Donald Trump – infatti – ha sottolineato il problema, ma ha deciso di non attaccare frontalmente Pechino. Ha attaccato invece la precedente amministrazione, ovvero Obama.
Donald Trump ha specificato infatti che le relazioni commerciali sono «molto ingiuste e sbilanciate»; ma la colpa non sarebbe di Pechino che, come ha specificato Trump, fa giustamente i propri interessi, bensì di Obama.
«Io non dò la colpa alla Cina. Dopotutto chi può incolpare un Paese di approfittarsi di un altro Paese per il bene dei propri cittadini? Sono gli Stati Uniti, ha aggiunto, che devono cambiare queste politiche, perché sono rimasti così indietro nel commercio con la Cina e, francamente, con molti altri Paesi».
E infine la stoccata: «è un peccato che le passate amministrazioni abbiano permesso che si arrivasse a questa situazione sbilanciata – ha aggiunto – ma noi riporteremo le cose in equilibrio, e questo sarà ottimo per entrambi».
Non solo, perché Trump ha anche ricordato alla Cina l’impegno ad abbattere «le restrizioni opposte all’ingresso nel mercato cinese e i requisiti di trasferimento tecnologico, che impediscono alle aziende statunitensi di competere in Cina su un terreno paritario».
Su questi argomenti Xi Jinping ha risposto in modo conciliante promettendo riforme che ancora però non si vedono e probabilmente non si vedranno mai: Pechino non vuole certo aprire oltre modo ad aziende straniere proprio nel momento in cui si punta sullo sviluppo del mercato interno. Le riforme che hanno in mente a Pechino, specie riguardo le grandi aziende di Stato, non sono certo quelle auspicate dai liberali americani.
E forse per placare Trump sulla questione commerciale Cina e Stati Uniti hanno firmato accordi (decennali) per un valore complessivo di 253,4 miliardi di dollari. L’ammontare delle intese siglate e’ comprensivo anche dei 9 miliardi di dollari di accordi firmati ieri ed e’ stato definito «un miracolo» dal ministro del Commercio di Pechino, Zhong Shan.
@simopieranni
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