La notizia della Nsa che spiava dal 2010 il Bharatiya Janata Party – ora al governo con Modi – è stata disinnescata nel giro di 48 ore. Vince la realpolitik.

Partendo dai presupposti di grandeur indiana e rinnovato orgoglio nazionalista, venir a sapere che gli Usa da quattro anni spiano gli esponenti del Bjp al pari di gruppi considerati “pericolosi” dall’amministrazione americana poteva mettere a repentaglio le relazioni bilaterali di due paesi destinati a collaborazioni di vario tipo: da quella commerciale a quella geopolitica, con “nemici” comuni come la Cina e la perenne turbolenza pakistana (della quale gli Usa sono tra i responsabili) a costituire fondamenta per potenziali partnership.
Se tra i due partner uno dimostra di non fidarsi dell’altro è evidentemente un problema serio.
La reazione indiana è stata molto improntata al mantenimento di un basso profilo, realpolitik che vince sull’orgoglio nazionalista. Il governo di Delhi ha chiamato a rapporto una delegazione dell’ambasciata Usa in India – della quale non si conoscono i componenti – e, stando alle ricostruzioni, l’esecutivo guidato da Modi avrebbe sostanzialmente chiesto che la sorveglianza telematica da parte dell’Nsa “non si ripeta più”.
Interrogata nel merito della discussione, la portavoce del Dipartimento di Stato Usa Jen Psaki – come riporta il quotidiano The Indian Express – ha confermato l’incontro ma si è rifiutata di entrare nei dettagli dello scambio di vedute tra governo indiano e diplomazia Usa.
All’insegna di “è acqua passata”, Psaki si è rifiutata di chiarire se oggi il Bjp sia stato tolto dalla lista delle organizzazioni politiche da tenere sotto controllo e se effettivamente la diplomazia statunitense abbia promesso di non spiare più l’India, spiegando che comunque il presidente Obama ha ordinato all’intelligence Usa di “lavorare assieme alle controparti straniere per approfondire il coordinamento e la cooperazione così che si possa ricostruire la fiducia”.
E fin qui nulla di insolito, la diplomatica giustamente svia il discorso, interessata a far morire la vicenda da sé. La cosa interessante, che rafforza l’idea del controllo sorpendente che Modi esercita sul proprio partito, è che nessuno dalle parti del Bjp ha rilanciato, rilasciato dichiarazioni sguaiate (come spesso succede qui in India, specie in materia di politica estera), nessuna voce fuori dal coro.
Anche questo ultimo episodio conferma le impressioni di questo primo mese di reggenza Modi: il nuovo primo ministro pare stia riuscendo nell’impresa di unire sotto la sua leadership l’intera sfera della destra indiana, fino a qualche tempo fa caratterizzata da lotte intestine anche violente. Se riuscirà a mantenee serrati i ranghi, Modi potrà concentrarsi solamente sulla realpolitik, evitando il ruolo di domatore di leoni sempre riservato ai leader dei grandi partiti indiani. E in questo caso ci aspetta un governo solido e duraturo.
La notizia della Nsa che spiava dal 2010 il Bharatiya Janata Party – ora al governo con Modi – è stata disinnescata nel giro di 48 ore. Vince la realpolitik.